Perco, il “papà” della Cona che non rinnega la caccia FOTO/VIDEO

STARANZANO. Brinda al nuovo traguardo la Riserva naturale regionale della Foce Isonzo. È stata designata dal ministero dell’Ambiente “Zona Ramsar” e inserita nella “Lista delle Zone Umide di importanza internazionale”, come stabilito nel Trattato internazionale firmato nel 1971 a Ramsar, in Iran.
Un’area di sosta per gli uccelli migratori che la fa entrare a pieno titolo nella rete europea di ambienti tutelati, dove si gestisce la flora, la fauna, ma anche i visitatori. E con la Cona, sono tre le zone “Ramsar” in Friuli Venezia Giulia: Laguna di Marano, Foci dello Stella e Valle Cavanata.
Un evento festeggiato in un modo particolare alla Cona, che ha aperto il suo palcoscenico di paradiso naturale ai numerosi ospiti pronti ad ammirare circa 750 “oche grigie” e le prime “lombardelle”, una trentina circa, che si aggiungono alle 400 oche “residenti”. Le prime arrivano dall’Europa centrale, le seconde dalle zone del Nord più estremo d’Europa in Russia, oppure dalle regioni confinanti della Siberia occidentale al di là degli Urali, a quasi 6mila chilometri di distanza. Soggetti che già hanno avuto modo di apprezzare in passato l’«ospitalità e la protezione» della Cona, come spiega il direttore della Stazione Biologica, Fabio Perco, il “papà” della riserva naturale.
Ma quali sono le origini del “rifugio” dell’Isola della Cona? L’idea nasce alla fine degli anni ’70. In quest’area sia mio padre sia mio fratello Franco venivano a caccia, per produrre una quantità di selvaggina maggiore perché gli animali ce n’erano pochi. Mio padre ci aveva trasmesso il proverbio austriaco che “il cacciatore deve essere in qualche modo anche allevatore” e quindi proteggere la fauna presente. Oggi la selvaggina è molto più abbondante proprio grazie a una strategia di tutela nei territori costiero e lagunare.
Ripercorriamo le date più importanti di questo progetto? Nel 1983 abbiamo elaborato il progetto di massima chiesto dal Comune di Staranzano che all’epoca pensava di realizzare anche un “marina”. Nel 1991 abbiamo avuto il riallagamento del “ripristino” e la costruzione dell’osservatorio principale della “Marinetta”. Nel 1996 la Regione ha approvato la Legge 42 sulle aree protette. Nel 2002 abbiamo inaugurato, grazie ai finanziamenti dell’Obiettivo 2 dell’UE, il centro visite e acquistati i terreni circostanti.
Ma come diventa un ex cacciatore “padre” della Cona? Non ho mai rifiutato l’attività venatoria, ho semplicemente smessa di praticarla. Per avere una grande biodiversità e una ricchezza di specie animali rare che rischiavano di estinguersi, era necessario accettare una serie di restrizioni. Auspico che i miei colleghi si dirigano verso questa strada e diventino come me custodi della biodiversità, non semplici fruitori della fauna selvatica.
Quali sono le peculiarità della Riserva? Quella principale è di essere riuscita a richiamare per la fauna selvatica, prima era appannaggio solo degli addetti ai lavori, un pubblico molto più vasto. Oggi alla Cona è possibile osservare specie notevoli un tempo rarissime, a brevissima distanza, stando seduti al bar. Una circostanza unica a livello nazionale.
Come avete insegnato alle anatre russe ad arrivare alla Cona? Hanno capito che c’è un habitat idoneo, una tranquillità notevole e soprattutto fonti di cibo in grande abbondanza a seconda della specie. Quello che è stato realizzato.
Qualche numero sulla fauna stanziale e migratoria? Nella Riserva le specie osservate sono 326. Più della metà di quelle osservate nell’intera penisola italiana che sono circa 500. Come numero di individui, si parla di svariate decine di migliaia. Possiamo dire che novembre ha la massima numerosità e si può parlare di una presenza dai 20 ai 40mila soggetti. Per quanto riguarda la fauna “stanziale” la cifra è ridotta, comunque sempre notevole.
Ci sono anche diversi rapaci... È vero, vista l’abbondanza di prede. Troviamo il falco pellegrino, l’astore, l’aquila reale, l’aquila di mare e il falco pescatore. E ancora il falco di palude di cui almeno una coppia di solito nidifica nel canneto.
I cavalli Camargue sono un’attrazione o un elemento indispensabile per la Riserva? Ambedue. Dico spesso che i cavalli non sono altro che falciatrici dell’erba a energia solare e computerizzata, nel senso che si muovono dove è necessario intervenire, quindi hanno una funzione di mantenere l’habitat in una situazione desiderabile. Dal punto di vista estetico sono una grande attrazione. Molti visitatori non sono esperti nell’osservazione della fauna selvatica ma apprezzano questi bellissimi cavalli grigio chiari o bianchi che in inverno si sposano nei colori con le Alpi Giulie coperte di neve o con gli aironi e i cigni.
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