Per tutti gli sloveni la Prima guerra fu una maledizione

A dire del primo grande conflitto mondiale da sloveno è, direi, anche purtroppo un compito abbastanza complicato, anche se si lasciano da parte le ricerche sulle molteplici cause concorrenti allo scoppio e allo sviluppo della immane collisione.
La prima constatazione da fare è che il piccolo popolo sloveno, sebbene faccia parte dell’Unione Europea, si trova nella necessità di spiegare all’interessato di non essere confuso con il popolo slovacco o con la Slavonia. Però: e qui sta il punto. La maggior parte della guerra sul Carso, nella Valle dell’Isonzo (in sloveno So›. a), è stata combattuta sul territorio abitato da sloveni, che l’Italia voleva conquistare in base all’accordo di Londra su ciò che avrebbe ottenuto, se avesse combattuto dalla parte degli Alleati.
Come sloveni, quindi, ci si trova a mal partito, perché come cittadini austro-ungarici si combattè contro gli Alleati e, in caso di vittoria, si sarà dalla parte dei vinti e, in sovrappiù, si apparterrà al Regno d’Italia.
Questa appartenenza non è desiderata per due ragioni, la prima la si vede ad occhio nudo, come si dice, sarebbe la fine della sua unità territoriale; la seconda invece la fornisce la constatazione che i cittadini sloveni, i quali come cittadini della Repubblica di Venezia avevano avuto il diritto alla propria lingua e ad altre autonomie, appena Venezia diventa una normale città del Regno d’Italia, nel 1866, gli sloveni sono sottomessi alla snazionalizzazione. In più, non dando alla popolazione un modo di sviluppo economico-sociale, venne favorita l’emigrazione e si organizzò la partenza per un lavoro nelle miniere belghe, in maniera che poi le famiglie seguissero i minatori svuotando in modo inverosimile, appunto con l’emigrazione, i paesi.

Oltre ad avere, quindi, i soldati, che combattevano e morivano con la coscienza che il loro sacrificio era inutile, i rappresentanti politici sloveni erano preoccupati per il futuro, per la condizione in cui si sarebbe trovato il popolo sloveno. La politica che sperava in un trialismo, in un riconoscimento degli Stati slavi, era fallita, ciò era tanto più evidente perché era stato eliminato a Sarajevo il rappresentante della Casa d’Asburgo in cui si sperava. Ma si volle fare ancora un tentativo nel 1917, a Vienna. Invece l’imperatore rispose con un secco nein, un secco no. Era sicuro di vincere? O era l’abitudine nel trattare gli slavi come Schufezzen, come pezze da piedi, quelle che facevano le veci alle calze?
Fatto sta che, sfaldandosi l’impero di Vienna, i responsabili sloveni misero in atto la politica di congiungimento con la Serbia, insieme ai croati si offrirono per la formazione dello Stato dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, che dopo non poche difficoltà nasce, ma ha poca vita, perché il re serbo cambia il nominativo dello Stato in Jugoslavia. Infatti comanda lui, ciò che non accettato i croati, che se ne liberano, durante una visita in Francia, a Marsiglia.
Ecco che gli sloveni praticamente non esistono, se quando erano sottomessi a Vienna non c’era una Slovenia, ma sono stati uniti nella cultura, nella letteratura, che si vanta di classici di prosa e di poesia, di arte e di musica e questo sviluppo continua nella Slovenia jugoslava, mentre nel territorio conquistato dall’Italia, la lingua e la cultura slovena subiscono il genocidio più radicale possibile. Nel territorio perduto in Carinzia con un plebiscito disgraziato in cui prevalsero esigenze ideologiche, come il rifiuto di appartenere a un regno serbo, preferendo una repubblica austriaca e, per i cattolici, il rifiuto di appartenere ad uno Stato di religione ortodossa. Così si sono trovati in uno Stato in cui c’era già l’influenza nazista. Una piccola comunità slovena restò anche in Ungheria.
La prima guerra mondiale fu per gli Sloveni una maledizione, tanto nello svolgimento, sui campi di battaglia, per i morti e le distruzioni subite, come per le conseguenze, perché finimmo per essere squartati, come disse il poeta Kosovel, che gli anni da ragazzo li visse in trincea con i soldati in casa.
E i libri di storia, che parlano dello svolgimento del conflitto, quindi non si accorgono di coloro che abitano nel paese e subiscono distruzioni su distruzioni. Ne parla anche la letteratura, Remarque, per esempio, Hemingway con la rotta di Kobarid (Caporetto), ma passano accanto alla popolazione, che invece ha il proprio Remarque in Mati›i›, con il suo “Na krvavih poljanah” (“Sulle lande insanguinate”) e il proprio scrittore classico in Prežikov Voranc (Lovro Kuhar) con il suo “Doberdob” e il sacrificio dei soldati nella difesa del territorio.
Il libro “Doberdob”è stato tradotto in italiano dal prof. Ezio Martin, il traduttore della “Necropoli”, sì, ma siamo nel periodo postbellico della seconda sciagura internazionale, ciò che significa che, per quanto riguarda noi sloveni siamo oltremodo in ritardo nel ricordare il Primo conflitto mondiale. Così anche con il museo importante di Kobarid (Caporetto) e i tardivi memoriali o lapidi per i combattenti sul Carso.
È comprensibile, dicono, dopo il conflitto mondiale c’era da pensare alla prima Jugoslavia, dopo il secondo conflitto c’era ancora la Jugoslavia, questa più centralista della prima, tutto passava per Belgrado. Verissimo. Ma c’è stata però anche la predominanza di interessi politici, economici, materiali, insomma, e sono stati trascurati coloro che non avevano scelta, prima che le granate mescolassero le loro membra con la stravolta pietraia carsica.
Va bene che lo fanno ora, anche se insieme con gli altri, che non sono ritardatari nell’osannare i propri eroi.
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