«Per pagare i debiti ho venduto le fedi nuziali»

La storia di un gradiscano, con a carico moglie e tre figli, costretto per la crisi a chiudere la sua impresa artigiana e a rimanere senza un lavoro
Di Luigi Murciano
Un ragazzo davanti a una agenzia interinale, in una foto d'archivio.ANSA/FRANCO SILVI
Un ragazzo davanti a una agenzia interinale, in una foto d'archivio.ANSA/FRANCO SILVI

GRADISCA. «Per pagare i debiti e dare da mangiare ai miei figli ho fatto di tutto. Persino vendere le fedi nuziali. Ma ora non ce la faccio più, sono disperato». Quella di Vincenzo C., 47enne gradiscano, disoccupato, è una storia – ormai - come troppe. Cui però non si riesce proprio ad abituarsi. Una storia di angoscia e disperazione, figlia della crisi occupazionale e dello Stato che da un lato non fa sconti e dall'altro è rumorosamente silenzioso, assente.

Sino a qualche anno fa la vita di Vincenzo, coniugato, tre figli, scorreva tranquilla. Un lavoro più che dignitoso da dipendente per oltre 20 in una ditta edile, la famiglia che si allarga, una casa dell'Ater semplice ma sufficiente per le esigenze della famiglia. Nel 2005, pensando al futuro dei propri figli, decide di mettersi in proprio. Ancora non lo sa, ma è l'inizio del tunnel. L'uomo lo racconta con un filo di voce, a metà fra la timidezza e il pudore. A colpire è la grande dignità. Non c'è rabbia nelle sue parole. Ma neppure rassegnazione. «Cosa devo fare?» è la domanda che rieccheggia. Racconta: «C'erano le condizioni per mettere su una ditta, come artigiano, sempre nel settore edile. Ho deciso di provarci». All'inizio le cose vanno bene: lavora anche 11 ore al giorno, realizza villette chiavi in mano in tutta la Sinistra Isonzo, restauri, ampliamenti. Dà lavoro a più di qualche collaboratore. Ma dal secondo anno le cose iniziano a precipitare. Il prezzo dei materiali e il costo dei fornitori aumentano a dismisura, un paio di clienti importanti non pagano e il giocattolo si rompe. «Io ho compiuto sicuramente qualche errore di valutazione – ammette con disarmante onestà Vincenzo – tenendo i prezzi bassi per essere competitivo. Mi sono pentito mille volte, ma ora è tardi». In un amen i debiti schizzano ad almeno 100mila euro. Le cartelle esattoriali di Equitalia sono come coltellate: gliene sono state recapitate 15 in un giorno, per almeno 50mila euro di Iva, Irpef, Inail e quant'altro. Poi ci sono i debiti con le banche («e meno male che mia madre mi aiuta») e i fornitori. E poi le bollette, la spesa. Persino l'affitto dell'Ater è diventato un lusso. «La macchina me la presta mia sorella, io non ho più i soldi per l'assicurazione, il collaudo o la benzina».

Un'angoscia continua. Fra il 2012 e il 2013 ha fruito del sussidio di solidarietà: 500 euro in cinque. Poi qualche lavoretto per amici. «Se ho 50 euro in tasca, prima devo far mangiare i miei figli. Ogni tanto arriva una spesa dalla Croce rossa. A ore mi taglieranno la corrente». L'uomo ha venduto, anzi svenduto, tutto ciò che poteva. Dai materiali sino alle cose più intime, come le fedi nuziali. «Non toccherò mai solo le catenine dei miei figli. Ma adesso ho paura. Io non discuto: mi è andata male e voglio pagare. Ma se non lavoro, come faccio? Non ho più niente. Come artigiano non posso contare su ammortizzatori sociali come cassa integrazione, mobilità, lavori socialmente utili». Vincenzo e signora, che sinora ha fatto la mamma, hanno due figli grandi, di 21 e 18 anni, e una bimba di 9. I bisogni di ogni giorno sono tantissimi, ma senza entrate sta diventando impossibile tirare avanti. «Nonostante siamo tutti iscritti all'Ufficio del lavoro o alle varie agenzie di interinali, nessuno ci chiama. È da due anni che si trascina questa situazione. Le stiamo provando tutte. Mando in giro decine di curriculum al giorno. Spero che qualcuno lega queste righe e si metta una mano sul cuore: se non a me, diano almeno lavoro ai miei figli».

Vincenzo non è stato con le mani in mano. Ha mandato bussato alla porta in tutta Italia, e se servisse partirebbe anche domattina. «In 27 mesi ho potuto lavorare per appena 4: un mese come panettiere, due mesi come aiuto elettricista in un cantiere, un mese a Gradisca nel progetto Cantiere di lavoro finanziato dalla Regione: ho sostituito per 35 giorni una persona che per mesi non si era mai presentata: ma il termine di sei mesi d'impiego era ormai in scadenza e così sono stato lasciato a piedi. Ci sentiamo abbandonati dai Servizi sociali». Una beffa atroce. Vincenzo confida di avere paura. “Faccio brutti pensieri. Non so dove può arrivare una persona in stato di necessità. So che non voglio rubare, dopo 27 anni di lavoro onesto e nel quale mi ero realizzato. Mi chiedo pero' dove sia lo Stato sociale, il welfare che dovrebbe esserci in un Paese civile».

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