Patuanelli: «Si riparte solo semplificando. Alle imprese prometto meno burocrazia»

Il ministro dello Sviluppo: «Il decreto sarà pubblicato tra poche ore». E sui casi aperti: «Fca paga le tasse qui. Mittal vuole mollare Ilva» 
Il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli, al termine dell' incontro con i rappresentanti delle imprese sulle misure da adottare per fronteggiare le conseguenze derivanti dal Coronavirus sul sistema produttivo del Paese, Roma 25 febbraio 2020. ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli, al termine dell' incontro con i rappresentanti delle imprese sulle misure da adottare per fronteggiare le conseguenze derivanti dal Coronavirus sul sistema produttivo del Paese, Roma 25 febbraio 2020. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

TRIESTE «Per iniziare a correre davvero occorre sburocratizzare e dar fiducia alle imprese», sostiene il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. «La proposta Merkel-Macron sul Recovery Fund da 500 miliardi? Bene, ma è solo un primo passo verso i 1000 miliardi che riteniamo siano la dotazione necessaria per soddisfare le esigenze di tutti i paesi europei». «L’Ilva? Mittal ci costringerà a rivedere i piani».

Ministro, l’Italia ieri ha riaperto, ma come dice Conte ha iniziato solo a camminare. Quando ci rimetteremo a correre?

«Rivedere dalle mie finestre su via Veneto i negozi che riaprono è una boccata d’ossigeno. Perché, per quanto nel decreto Rilancio Italia si siano inserite molte risorse di ristoro, parliamo di 20 miliardi di liquidità diretta tra sospensione Irap, indennizzi a fondo perduto, pagamento degli arretrati della Pa e riduzione oneri delle bollette, tuttavia stiamo parlando di un decimo di quello che il Paese ha perso tra marzo ed aprile. Per cui per rimetterci in moto bene dobbiamo ricominciare con forza, intanto iniziando a sburocratizzare il paese. È il prossimo passaggio fondamentale».

Forse con meno bandierine di partito da piantare finivate prima...

«Visto da dentro non mi ritrovo in questa narrazione. Non era questione di bandierine, semmai di alcune sfumature di visione anche sul tema industriale. Non è un mistero che come Mise si sia cercato di tutelare col fondo perduto la microimpresa, mentre c’era chi puntava di più sulla grande industria. Però abbiamo trovato degli equilibri molto buoni».

Dunque adesso via con le semplificazioni, dopo Cura Italia e Dl Rilancio la terza gamba delle misure che dovrebbero portarci fuori dalla crisi.

«Non so se è la terza gamba, ma certamente le semplificazioni sono una gamba che manca e che può determinare la caduta del tavolo o il fatto che si sostenga».

Quindi come si procede?

«Bisogna far percepire alle imprese che lo Stato si fida di loro. Questo è il mio primo obiettivo. Dovranno produrre meno carte e perdere meno tempo, che per le imprese è sempre un costo, per ottenere un’autorizzazione, per attivarsi e per poter partire con un’opera. Questo non significa assolutamente derogare a principi di legalità, anche perché col decreto spazzacorrotti ci siamo dotati di uno strumento che all’avanguardia rispetto a tanti paesi europei per contrastare i fenomeni corruttivi».

Interverrete sul Codice degli appalti?

«Nel campo delle opere pubbliche bisogna rifarsi al modello Genova, con la consapevolezza che in questo ambito sarebbe bello che non servisse un commissario per completarla in tempi decenti. Dovrebbe essere la legislazione ordinaria che ci consente di farlo e non le deroghe e i commissari. Poi, per quanto si possa intervenire sul codice degli appalti, penso innanzitutto alle opere pubbliche che è uno dei motori economici del Paese, c’è tutta una parte autorizzativa, tutti i pareri dal livello locale a quello centrale, che non sta nel Codice e che dovrebbe avere a sua volta tempi molto più rapidi e certi».

A proposito di tempi: avete detto che questo decreto arriverà in 15 giorni. Visti i precedenti i costruttori dell’Ance hanno già fatto partire il count down…

«In questi due mesi abbiamo fatto tante cose, ma non si può dire che il governo sia stato lento nei provvedimenti. Ora se saranno 10 giorni meglio, ma se saranno 20 vorrà dire che son serviti più giorni per definire meglio. Bisogna fare presto e bene, con la consapevolezza che per fare presto non si può fare male e per fare il massimo non possono servire sei mesi. Bisogna trovare il giusto equilibrio».

Oltre ad opere pubbliche ed edilizia su cosa pensate di intervenire?

«Certamente sulle fragilità emerse in questa fase di coronavirus, penso in particolare ai sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni che non si parlano, alla loro lentezza, ed alla necessità di avere piattaforme interoperabili sia nella Pa centrale che negli enti territoriali: è questo un altro campo dove si gioca la partita della sburocratizzazione».

Negli ultimi giorni, anche dentro la maggioranza, si discute tanto delle garanzie Sace a Fca sul prestito da 6,3 miliardi. Che ne pensa?

«È un dibattito legittimo su un nervo scoperto a livello europeo, la presenza di quelli che possono essere definiti paradisi fiscali a norma di legge all’interno dell’Ue. È un problema che prima o poi dovrà essere affrontato a livello comunitario. Nel caso specifico, a richiedere il prestito a Intesa San Paolo è stata Fca Italia, che ha sede in Italia e paga le tasse in Italia. È ovvio, però, che la garanzia dello Stato deve essere subalterna a delle condizionalità: non si può delocalizzare, bisogna realizzare e implementare il piano industriale in Italia, bisogna investire in Italia, bisogna mantenere i livelli occupazionali in Italia».

Secondo i sindacati vi siete completamente dimenticati di filiere manifatturiere importanti come auto, elettrodomestici e siderurgia: dicono che manca una strategia di rilancio.

«No, non mancano politiche industriali di rilancio, anche se nessun settore dirà mai di non essere strategico e dividere le filiere produttive in strategiche e non strategiche è molto complicato. Più che altro abbiamo delle fragilità che sono comuni a tutte le filiere, come la catena del valore all’interno della filiera stessa, che deve essere garantita aggregando i soggetti più deboli. Il modello da seguire, secondo me, è quello della ceramica che si è salvata consorziandosi, valorizzando l’artigianalità del prodotto singolo ed al tempo stesso facendo emergere la potenza di una filiera complessa».

All’Ilva sale la cassa integrazione e la produzione è ferma: che sta succedendo a Taranto?

«Mittal sta facendo capire che non ha intenzione di restare e questo certamente ci costringerà a rivedere i nostri intendimenti, che in base al preaccordo legale raggiunto nei mesi scorsi doveva portarci a superare i problemi emersi in passato. Al momento c’è un grosso ritardo sul piano industriale che Mittal avrebbe dovuto presentare e poi ci sono licenziamenti ingiustificati e una richiesta di cig non motivata a sufficienza: tutti segnali di un allontanamento ulteriore». —

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