Pasolini, un autore di teatro tra fiaschi, sfide e passione

Marsilio e il Centro studi di Casarsa pubblicano un saggio con quaranta contributi che fa luce sulla drammaturgia del poeta e sui rapporti con la sua opera
Di Roberto Carnero

Esce, pubblicato da Marsilio insieme con il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia, un ricco volume intitolato “Pasolini e il teatro”, a cura di Stefano Casi, Angela Felice e Gerardo Guccini (pagine 406, euro 37,00).

All’interno della straordinaria officina letteraria pasoliniana, la valutazione del teatro e il dibattito critico ad essa relativo si sono mossi tra due posizioni divergenti: da una parte il teatro come meteora di scrittura circoscritta ed episodica; dall’altra il teatro come stella fissa, che illumina anche il resto della costellazione. Al dibattito aggiungono poi ulteriori elementi di confronto i tanti uomini di teatro che, dopo Pasolini, hanno dimostrato e continuano a dimostrare, con esperienze diverse di pratica scenica, la praticabilità materiale e l’attualità di quella drammaturgia.

Il volume ora disponibile presenta i risultati di due convegni promossi nel novembre 2010 a Casarsa della Delizia, dal Centro Studi Pasolini, e a Bologna, dal Fondo Pasolini, dalla Cineteca, dal Cimes e dall’Università di quella città. Sono 40 i contributi che si interrogano sulla drammaturgia di Pasolini, sulle sue intersezioni con il resto della sua opera, nonché sulle sue contraddizioni testuali e pratiche. «Se cioè quel teatro - spiega Angela Felice (direttore del Centro Studi di Casarsa, italianista e critico teatrale) - debba essere confinato tra le generose utopie teatrali del Novecento o se invece non contenga in sé le ragioni di una concretezza scenica vitale e tuttora attuale».

Un libro che non è la classica raccolta di “atti di convegno”, perché i vari saggi sono stati sistemati dai curatori come capitoli di una monografia vera e propria, articolata in 7 sezioni organiche. Si va da un “atto primo”, la sezione iniziale dedicata alla ricchissima stagione teatrale del Pasolini friulano, a varie perlustrazioni delle tragedie degli anni Sessanta e dei loro presupposti teorici, al loro “dialogo” con il cinema e poi a un capitolo finale che ospita la testimonianza inedita di alcuni maestri della regia contemporanea, come Ronconi, Pressburger e Tiezzi.

Ma perché tra tutta la produzione di Pasolini, quella teatrale è stata la meno studiata o, forse, la più fraintesa? «Il primo fraintendimento - ricorda Angela Felice - è iniziato già al tempo di Pasolini, guardato dal mondo del teatro con sospetto e sostanziale indifferenza, sia quando lanciò nel 1968 il suo programmatico Manifesto per un nuovo teatro, sia quando curò nel novembre di quell’anno la regia della sua Orgia per lo Stabile di Torino. Un fiasco, in pratica, e da lì per lui le ragioni del distacco definitivo da un’esperienza di scrittura che invece lo aveva attirato fin da giovane. Non per nulla la prima opera in assoluto di Pasolini è un dramma, La sua gloria, scritta nel 1938, a sedici anni. I teatranti lo videro insomma come l’invasore di un territorio non suo, con quella sua controproposta di un teatro di parola, alternativa sia al teatro di regia che alla avanguardia. Ma anche in seguito i pasolinologi hanno teso a sorvolare sulla sua drammaturgia, come fosse un esercizio estemporaneo, episodico, circoscritto e sostanzialmente minore. In realtà la tensione teatrale, come oggettivizzazione verbale delle frantumazioni dell’io, lo attraversa profondamente. Ne è la radice segreta. Quasi una sfida».

Perciò non si può misconoscere il contributo offerto da Pasolini al teatro del Novecento, anche se è difficile stringere in una formula la sua drammaturgia, che è ricca e ha una sua complessa evoluzione interna. «Tuttavia credo decisivo - spiega Angela Felice - il fatto che Pasolini recuperi nel teatro contemporaneo la dimensione del mito e della tragedia, annidata nel quotidiano del vivere borghese e in quel suo cuore che è la famiglia. Ma, anche sul piano della ricerca formale, i suoi testi anticipano lo smantellamento del personaggio e la decostruzione della psicologia e delle convenzioni chiuse a favore di un teatro-rito problematico di idee, aperto al dibattito e insieme all’incursione lirica. E poi a farsi carico scenico di tutto questo grumo di intenzioni è la parola, piena, assoluta, fisica, che oggi, esaurita la stagione del teatro-immagine, pare ritornata al centro di molta vitale poetica teatrale del presente».

Un altro aspetto sondato dal volume è come sia stato messo in scena Pasolini dai registi contemporanei. «Pasolini è ormai un classico - afferma Felice - allestito in tutto il mondo, come avviene con Eduardo. In Italia credo si possano distinguere almeno due filoni teatrali che si rifanno a lui. Da un lato, vi sono i registi che, secondo le loro distinte poetiche, hanno allestito le sue tragedie: Ronconi, con la sua sensibilità spazio-temporale agli sdoppiamenti dei personaggi; Tiezzi, con il teatro di poesia; Latella, con le sue anti-rappresentazioni aperte. E poi, dall’altro lato, vi sono gli artisti che hanno trovato nella figura di Pasolini l’emblema per un teatro della “diversità”, della “realtà” e della “passione”. Penso alla scena di Punzo con i detenuti di Volterra, di Pippo Delbono con i suoi attori anomali, o di Nanni Garella».

Infine c’è il Pasolini drammaturgo in Friuli: «È stato merito degli studi pionieristici di Stefano Casi aver valorizzato la stagione teatrale del giovane Pasolini casarsese non come fase ingenua di apprendistato, ma come fucina di esperienze decisive e generative. Un lavoro da teatro del e nel territorio». Su cui ora getta nuova luce anche questo libro.

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