Parte da Trieste la battaglia legale contro i tagli alle pensioni d’oro

Causa pilota d’un ex presidente del Tar: no alle decurtazioni per chi incassa più di 5 mila euro mensili
Sede della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia, in viale Miramare 19 - Trieste 27/02/2015
Sede della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Friuli Venezia Giulia, in viale Miramare 19 - Trieste 27/02/2015

TRIESTE Parte da Trieste la difesa delle pensioni d’oro dei cittadini che si oppongono al taglio deciso dal primo governo Conte. In Corte dei conti, ieri mattina, è arrivata la prima causa-pilota, quella dell’ex presidente del Tar del Friuli Venezia Giulia Umberto Zuballi, magistrato amministrativo in quiescenza.

A tutelare le istanze, anche in altre regioni, di ex dipendenti pubblici al lavoro per decenni ai vertici della Pubblica amministrazione e della magistratura, è l’avvocato Massimo Luciani, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico alla facoltà di Giurisprudenza dell’università La Sapienza di Roma. A occuparsi del contenzioso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti di Trieste (magistrato delegato Giulia De Franciscis), organo che ha competenza pure sui giudizi relativi alle pensioni a totale carico dello Stato. Dopo una corposa relazione, Luciani ha chiesto di rimettere la questione di legittimità alla Consulta costituzionale. A ottobre la magistratura contabile regionale renderà nota la sua decisione: se giudicare infondata la richiesta o se fare invece intervenire la Consulta.

Il tema è quello del provvedimento del governo precedente che, nella legge di Bilancio 2019, su iniziativa di Luigi Di Maio, allora ministro del Lavoro del Movimento 5 Stelle, ha previsto un doppio taglio delle pensioni, con riferimento alla rivalutazione automatica, ma anche all’importo, con una progressione al salire della cifra. In concreto, chi riceve una pensione lorda annuale superiore ai 100 mila euro si vede decurtato il proprio assegno mensile per cinque anni. A partire dai cedolini di giugno, ma a decorrere da gennaio, è stata applicata un’aliquota di riduzione pari al 15% per la parte eccedente 100.000 euro fino a 130.000, al 25% per la parte eccedente 130.000 fino a 200.000, al 30% per la parte eccedente 200.000 fino a 350.000, al 35% per la parte eccedente 350.000 fino a 500.000 euro e al 40% per la parte eccedente 500.000 euro.

Da metà estate è arrivata l’inevitabile raffica di ricorsi al tribunale del Lavoro da parte dei dipendenti privati e alla Corte dei conti nei casi di ex dipendenti pubblici. Un’azione mirata a ottenere, come è emerso ieri a Trieste, la remissione della questione di legittimità alla Corte costituzionale.

La tesi dei ricorrenti è che pensioni così alte sono comunque frutto di contributi regolarmente versati e sono state perciò erogate fin qui in virtù di regole in vigore, di fatto un impegno che lo Stato si è assunto nei confronti dei contribuenti e che improvvisamente, e unilateralmente, un governo ha deciso di non rispettare. In sostanza, si tratterebbe di una lesione di diritti acquisiti con effetto retroattivo.

Secondo l’ultimo report annuale della società di ricerca Itinerari previdenziali, i pensionati con un reddito netto superiore a 5 mila euro mensili sono circa 10 mila e costano allo Stato 1,8 miliardi di euro all’anno. Il risparmio per lo Stato, ammontante ad alcune centinaia di milioni, sostengono ancora i ricorrenti, non sarebbe dunque particolarmente rilevante. —


 

Argomenti:pensioni d'oro

Riproduzione riservata © Il Piccolo