Parte da Istanbul la grande autostrada del mare

Prosegue il viaggio nelle città e nelle capitali della nuova Europa legate a Trieste da storia, tradizioni e consuetudini, oppure accomunate a noi da nuove prospettive soprattutto nell’ambito degli scambi commerciali e culturali grazie alla prossima caduta dei confini. Dopo Vienna, Lubiana, Zagabria, Fiume, Pola e Budapest, oggi è la volta di Istanbul e non è affatto un’aberrazione.


Quella che fu la capitale dell’impero ottomano e che sorge su due continenti: Europa e Asia, ha antichi legami con Trieste che recentemente sono stati rinsaldati grazie a una trafficatissima rotta commerciale via mare e all’insediarsi in città di nuovi immigrati. Trieste fa così quasi da apripista per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea. I negozianti sono iniziati, ma la questione si è fatta scottante dopo le proteste per il discorso del Papa a Ratisbona che inaspettatamente proprio in Turchia hanno segnato le reazioni più violente. Il Pontefice ha però confermato il suo viaggio a Istanbul, Ankara e Efeso dal 28 al 30 novembre.


Se avete la corrente dietro di voi, se vi fate trascinare lateralmente come un granchio verso i battelli, Istanbul vi passa piano piano davanti». Nessuno meglio del celebre scrittore Orhan Pamuk sa descrivere Istanbul, la sua città, ma nessuna città meglio di Istanbul è così vicina all’altra faccia di Trieste, quella un po’ nascosta e dimenticata, eppure altrettanto presente di quella mitteleuropea, mille volte più decantata. Se Trieste è qua dove l’Occidente incomincia a farsi Oriente, Istanbul sta dove l’Oriente comincia a farsi Occidente: in mezzo lo stesso mare che tutto mischia e tutto unisce.


Trovare qualcuno che parli male di Istanbul è la più disperata delle imprese giornalistiche. «Si sta talmente bene che mi sento turco», dice Gian Paolo Papa, triestino di Istanbul. «È una città meravigliosa dove non manca nulla», aggiunge Roberto Lorenzon, altro triestino di Istanbul. Bisogna andare tra i curdi che fanno i lustrascarpe e che hanno un occhio di riguardo per gli italiani che hanno ospitato Ocalan, tra gli oppositori del governo gettati nelle carceri, tra i discendenti degli armeni trucidati. Ma forse nemmeno là nessuno maledice Istanbul, ma solo il governo turco. Pamuk era stato incriminato per aver parlato di quel genocidio, così com’è stata poi processata la scrittice Elif Shamak. Le assoluzioni se arrivano, arrivano per la lungimiranza dei giudici, non ancora in virtù della democratizzazione del Paese che si ostina a mantenere nella sua Costituzione quel famigerato articolo 301 che punisce «chi insulta la Patria o le forze armate». Ma il nuovo articolo 306 punisce in particolare chi chiede il ritiro dei militari da Cipro o dichiara che il genocidio degli armeni non ha avuto luogo. Tant’è che la procura ha aperto un nuovo processo a danno di un altro scrittore di origini armene, Hrant Dink chiedendone la condanna a tre anni.


Al museo militare della città dopo innumerevoli manichini e plastici dedicati alle imprese dei sultani e ampi spazi per le opere di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della patria turca verso il quale ufficialmente sopravvive ancora uno sfrenato culto della personalità fatto anche di striscioni sui palazzi e immagini nelle scuole e in ogni ufficio, un intero settore è riservato a quello che viene definito «il terrorismo dei separatisti». Sono riportate foto di cadaveri di bambine straziati in attentati. Un manifesto riproduce accostate la bandiera della Grecia e quella del Pkk, il Partito dei lavoratori curdi e vuole testimoniare il sostegno che i greci offrirebbero ai terroristi. «Ma oggi il problema curdo non è più grave di quello che recentemente sono stati l’Ira per la Gran Bretagna e i baschi per la Spagna», dicono all’unisono Papa e Lorenzon.


A Taksim, il quartiere più vivace, la vita non si ferma mai e i locali sono aperti tutta la notte. Palazzi senza insegne nascondono ascensori che salgono per decine e decine di metri. Credi di uscire tra quattro mure e invece lo sguardo spazia su una sky-line più bella di quella di New-York perché immutata da centinaia di anni: la Moschea blu, Topkapi, decine di altre moschee e più giù il ponte di Galata. Le terrazze di ristoranti e bar a picco sopra il Bosforo brulicano di ragazze turche poco vestite all’occidentale con sigarette accese, turisti incerti tra macchine digitali e sis kebab, uomini d’affari che sorseggiano pornstar, che altro non è che il nome di un cocktail e la libertà di un sigaro in un locale pubblico preclusa nel loro Paese. Non è tutto così nella zona vecchia della città, accanto all’area dell’ex ippodromo dell’impero bizantino da dove furono trafugati i cavalli finiti sulla basilica di San Marco a Venezia. Qui le ragazze turche portano tutte il velo e siedono sui divanetti.


A metà della strada che risale il binario della metropolitana leggera sempre superaffollata, un cortile e una sala interna ospitano le tombe dei sultani dell’Impero ottomano anche cronologicamente sterminato: 1299-1922. La più grande, coperta del drappo verde dell’Islam, è quella di Mahmoud II. «Sedò rivolte - si legge sulla targhetta - concluse la guerra con la Russia, uccise i wahabiti che avevano offeso La Mecca, soppresse la rivolta greca, morì di tubercolosi nel 1839 mentre stava sedando la rivolta egiziana». Istanbul è oggi una delle megalopoli più affollate del mondo con popolazione che cresce ogni anno in virtù anche di una forte immigrazione dalla campagna anatolica e oggi sfiora i 16 milioni di abitanti. I suoi problemi più gravi sono l’inquinamento e il traffico impressionante. Per fare tratti brevi con uno delle decine di migliaia di taxi gialli si impiegano tempi enormi anche perché spesso i tassisti aggiungono al caos molto del loro ingegno per allungare percorso e tariffa. Si arriva facilmente a piedi però al Big bazar, per secoli il mercato coperto più grande del mondo.


Nel 1880 qui c’erano 4399 botteghe. Quante ce ne sono oggi? Impossibile contarle, le guide dicono: «un numero pressapoco uguale ad allora». C’è una fontana a Trieste in piazzetta della Valle che l’architetto Giuseppe Sforzi progettò traendo ispirazione da una di quella che si trovano nel Big bazar. Ma lo stesso architetto disegnò anche il Fontanone che si trovava in piazza della Caserma, oggi piazza Oberdan, anch’esso progettato su modelli turchi, smontato e distrutto sotto il fascismo nel 1926. Anche per questo Trieste è stata a lungo considerata il Gran bazar dell’Adriatico e ha conservato in qualche modo questo ruolo fino agli anni Ottanta allorché in massa arrivavano acquirenti dall’Est Europa nei mercatini di Ponterosso e di piazza Libertà, al Cremcaffé di piazza Goldoni e nei negozi del Borgo Teresiano. Si è parlato molto italiano o addirittura dialetto triestino per alcuni giorni a Istanbul. Prestigiosa la cornice di quella che fu l’ambasciata del regno d’Italia nella capitale dell’impero ottomano e che oggi ospita gli uffici del Consolato generale (Istanbul non è più capitale), ma anche una residenza dell’ambasciatore che spesso trascorre qui un giorno alla settimana in trasferta da Ankara. Accanto, il liceo italiano, più sotto l’Istituto italiano di cultura che reca ancora sulla facciata lo stemma dei Savoia. Sono duemila gli italiani che vivono a Istanbul, ma ce ne sono altri mille a Smirne e centocinquanta a Ankara. Seimila sono i turchi che ogni anno frequentano corsi di italiano, mentre corsi di turchi sono stati attivati anche all’università di Trieste.


All’hotel Hilton la serata che ha avuto quale primo ospite il presidente della regione Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy accompagnato anche dal presidente della Camera di commercio Antonio Paoletti è stata organizzata da Fiat Turchia e dal suo amministratore delegato Alfredo Altavilla. La Fiat è main sponsor del progetto I turchi in Europa, ideato dal giornalista Gianpaolo Carbonetto e che si è articolato sull’intero territorio regionale in un’ampia serie di mostre e eventi facendo conoscere al Friuli Venezia Giulia la civiltà turca. È qui che i triestino-turchi Papa e Lorenzon si stringono la mano. Papa, principale referente locale per l’allestimento del «ponte» Friuli Venezia Giulia-Turchia, è discendente di famiglie che hanno fatto la storia della cantieristica e della marineria giuliane, ha abitato «in Acquedotto» come dice lui e nel palazzo del caffè San Marco prima di fare il giornalista per la Bbc, entrare poi in diplomazia essere impiegato presso l’Unione europea a Bruxelles, diventare rappresentante dell’Ue in Turchia, sposare una donna turca. «Qui - racconta - ho trovato anche sardoni buoni come i nostri e la bora anche se la chiamano poiraz». Lorenzon ha abitato in via Giulia e in via Rossetti, ha frequentato l’Istituto Carli, si è sposato a Rozzol e dopo aver fatto carriere in sedi bancarie di Londra e a Madrid è oggi vicepresidente di KocBanca, istituto collegato a Unicredit. «Il rapporto con la gente qui è qualcosa di coinvolgente e formidabile - racconta - e a parte qualche minicircolo di euroscettici, tutto il Paese aspira a entrare nell’Ue. Il prodotto interno lordo cresce del 5-6 per cento all’anno, l’inflazione è stata ridotta al 7-8 per cento, la disoccupazione resta un po’ alta, ma non supera l’11 per cento.» Papa batte anche sul tasto culturale: «A Istanbul è esplosa la voglia di cultura, conta 25 università tra pubbliche e private, 30 mila suoi studenti vanno ogni anno a studiare in Europa, ha appena inaugurato uno straordinario museo di arte contemporanea in un vecchio magazzino portuale. Ma qui vivono anche 60 mila ebrei e ci sono molte sinagoghe. Come Trieste è una città multietnica: Istanbul è a livello macrocosmico ciò che Trieste è a livello microcosmico.»


Trieste da qualche anno ha con la Turchia un rapporto privilegiato, vi è collegata dalla terza autostrada del mare più trafficata del mondo, la prima assoluta in Mediterraneo. Sono oltre 200 mila i camion della Mezzaluna che sbarcano annualmente in riva Traiana e a Trieste c’è una nuova comunità turca, con centinaia di nuovi arrivati con uffici, negozi, e soprattutto ristoranti di recente insediamento. I locali che vendono kebab a Trieste sono ormai una quindicina. Sembrano tornati i tempi di Antonio Cassis Faraone figura di primo piano dell’impero ottomano e interlocutore privilegiato della monarchia asburgica che si stabilì a Trieste nel 1790. Dopo il suo arrivo, in molti palazzi borghesi triestini si allestì una sala levantina usata solitamente come fumoir, mentre in città incominciarono a moltiplicarsi presenze e testimonianze turche.

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