Parovel-Pertot ko in Appello per gli articoli anti-Dipiazza
TRIESTE Roberto Dipiazza? Uno speculatore. Di stampo mafioso, per giunta. Pronto da sindaco, con un’operazione immobiliare riguardante un terreno di Guardiella, a riempirsi le tasche a spese della comunità con la compiacenza dei suoi colleghi politici. Insomma: una «vergogna!». Urlata letteralmente, anche attraverso delle locandine davanti alle edicole.
Per queste e altre citazioni - scritte e pubblicate ripetutamente nel 2010 sul settimanale “Il Tuono”, poi ritenute in sede giudiziaria lesive dell’immagine del predecessore (e possibile prossimo sfidante) di Cosolini - l’allora direttore di quel periodico Paolo G. Parovel e il suo editore Daniele Pertot sono stati ricondannati, in secondo grado, a pagare 40mila euro allo stesso Dipiazza per danni morali: 25mila in solido più 15mila a carico del solo Parovel.
La sentenza d’appello I giudici della Seconda sezione civile della Corte d’Appello di Trieste presieduta da Oliviero Drigani - relatore ed estensore Marina Caparelli e consigliere a latere Vincenzo Colarieti - hanno respinto i reclami di Parovel e Pertot confermando sostanzialmente la sentenza di due anni fa del giudice di primo grado Sergio Carnimeo, davanti al quale in origine l’ex sindaco aveva fatto causa ai due rappresentanti del mondo dell’informazione locale, chiedendo ben più di 40mila euro.
Non si tratta, però, di una ratifica di decisioni già prese allora dal Tribunale di “prime cure”. La sentenza di secondo grado, depositata nella cancelleria di Foro Ulpiano in questi giorni, dà in effetti l’idea di addurre motivazioni ulteriori con l’obiettivo di fortificare quelle del 2013 e smontare nel contempo le tesi su cui poggiavano i ricorsi, in particolare quello di Pertot.
I reclami Già perché, nella mera forma, la Corte presieduta dal giudice Drigani replica al solo Pertot, in quanto dichiara «inammissibile» l’opposizione di Parovel. Il quale, da fermo difensore del Tlt, faceva presente tra le altre cose «il difetto di giurisdizione dello Stato italiano», ma anche la «vessazione morale» imposta dalla prima condanna che aveva previsto la pubblicazione sulla stampa di quella sentenza, «con l’esclusione della parte in cui accertava e dichiarava l’annullamento del contratto (datato 2007, ndr) tra l’ex sindaco Dipiazza e il Comune da lui amministrato, a conferma della veridicità dell’illegale compravendita del terreno comunale cui non si sarebbe pervenuti senza la denuncia pubblica delle parti appellanti, in esercizio del diritto di manifestare il pensiero professionalmente, a mezzo stampa».
La bocciatura nel metodo «È certamente indispensabile - scrive il giudice Caparelli - che dalla lettura dell’atto d’appello sia possibile conseguire con immediatezza quali siano le parti della sentenza che si vuole siano modificate e le specifiche ragioni in fatto e in diritto che stanno alla base di tale richiesta, e infine il risultato finale che l’appellante vuole conseguire. Se si confrontano le motivazioni della sentenza (di primo grado, ndr) con le contestazioni sollevate nei motivi di appello emerge con tutta evidenza che l’atto di appello, pur circostanziato, non è stato redatto in modo conforme al Codice di procedura civile».
La presa di distanze Il reclamo di Parovel è cassato nel metodo. In partenza. Quello di Pertot lo è nel merito. E così le “risposte” che la Corte dà unicamente all’editore del settimanale “nemico” di Dipiazza sembrano essere rivolte, stavolta nella sostanza e non più nella forma, a entrambi. Anche perché, a dirla tutta, Pertot nel suo ricorso ha cercato di convincere, ma non c’è riuscito, che «il signor Parovel ha proceduto in totale autonomia alla pubblicazione degli articoli di cui alla presente vertenza, disattendendo ogni scelta editoriale». La coppia, è storia, si separò malamente.
La bocciatura nel merito Lapidaria la sentenza d’appello: «Affermare che il sindaco in carica (nel 2010 Dipiazza lo era, ndr) approfittando della sua qualità di pubblico ufficiale ha compiuto una speculazione immobiliare, violando sia le norme civili e penali, costituisce condotta lesiva dell’onore e della reputazione del sindaco stesso... Tanto più che il giornalista (Parovel, ndr) accosta la condotta del sindaco alla mafia». Eppoi «la virulenza del lessico usato in tutti gli articoli unitamente all’intensità della campagna di stampa dimostrano infatti, incontrovertibilmente, l’uso consapevole da parte del giornalista di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive».
La presunta speculazione Quanto infine al terreno della discordia, la Corte conferma la censura del primo giudice sul fatto che in più articoli «la vicenda è stata sintetizzata con la sostanziale speculazione da 200mila euro», cifra invece «da riferirsi alla vendita dell’intero compendio immobiliare e non al solo terreno acquistato dal Comune», dalle «limitate dimensioni» e «non felice ubicazione», peraltro «circondato da proprietà già del sindaco Dipiazza».
Cosa chiarita in particolare in un servizio successivo, «a conferma che tale circostanza era nota al giornalista». «Non si può certo far rientrare nel diritto di critica l’erroneità e l’ambiguità dell’informazione consapevolmente fornita ai lettori», a proposito della quale la Corte ravvisa una mancata comprensenza dei requisiti della «verità oggettiva o anche solo putativa» e della «forma civile dell’esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza». Parovel e Pertot, insomma, devono pagare. I soldi già stabiliti due anni fa più altri «seimila euro» e rotti delle spese legali per il secondo grado.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo