Parole O_stili a Trieste. «Il parlamangismo offende»
TRIESTE «Stiamo assistendo a una deriva del linguaggio spaventosa e senza precedenti: ma a noi i linguaggi di pancia non interessano, perché per parlare bisogna accendere testa e cuore”. È iniziata con queste parole, pronunciate dall’ideatrice dell’iniziativa Rosy Russo, la seconda edizione di Parole O_Stili, manifestazione nata ormai un anno e mezzo fa per contrastare l’utilizzo di linguaggi d’odio e d’esclusione in rete e nelle pubbliche piazze. Sono state centinaia le persone che ieri hanno partecipato in Stazione Marittima di Trieste ai panel organizzati per questa giornata di riflessione sull’importanza delle parole, che ha toccato i diversi ambiti della vita sociale in cui il linguaggio si è fatto sempre più aggressivo, violento, ostile: la politica, i social media e la scrittura, il giornalismo, il business, la pubblica amministrazione, la scuola e la famiglia.
Per contrastare questa tendenza, ha sottolineato la scrittrice Michela Murgia nella sua lezione magistrale dedicata al linguaggio politico che ha aperto l’evento, serve innanzitutto un’analisi semantica su alcuni termini che oggi vengono utilizzati come equivalenti quando in realtà non lo sono per nulla: avversario non è sinonimo di nemico, semplificazione non è banalizzazione e responsabilità non è colpa.
«Il conflitto è fondamento della democrazia nel momento in cui si svolge secondo regole e valori condivisi: è normale avere avversari, persone che non la pensano come noi, ma non avere nemici, soprattutto quando il nemico assume una personalità collettiva e diventa un’alterità qualunque - dice la scrittrice sarda -: qualsiasi leader che costruisca la propria necessità politica sull’opposizione a un nemico, che non significa dissenso ma distruzione e rimozione, mette in atto il meccanismo tipico del fascismo. Così come tutto questo parlamangismo, l’idea di parlare alla pancia, è il contrario della democrazia, che invece nel confronto dialettico dà vita a una complessità enorme: semplificare è togliere il superfluo, banalizzare è escludere l’essenziale. E relazionarsi sul piano delle idee è ben diverso dallo stabilire un rapporto sul piano delle paure. Siamo in un Paese che non distingue più questi diversi piani: prepariamoci, perché sono tempi ostili».
Sul cambiamento del linguaggio in politica ha le idee molto chiare Giovanni Diamanti, socio e analista di Quorum/Youtrend: «Siamo passati dal politichese, sinonimo di tecnicismo, al berlusconismo e quindi alle parole ostili. Questi cambiamenti coincidono con la preminenza di diversi mezzi di comunicazione: dalla tv ai nuovi media, che hanno portato a un linguaggio più diretto e immediato. Oggi in Italia lo scontro politico si è indurito: non è più incentrato sui contenuti ma sfocia in attacchi duri e personali. Ritengo sia iniziato tutto con il crollo della fiducia nei confronti della politica prima e delle istituzioni poi».
Ma il linguaggio aggressivo non è prerogativa della politica: lo testimonia la chef Antonia Klugmann, che fin dalla sua prima partecipazione a MasterChef ha subíto pesanti attacchi sui social, un linciaggio che, Laura Boldrini docet, in Italia colpisce soprattutto le donne. «Per uscirne mi sono concentrata sulla realtà e come sempre il mio lavoro è stata la risposta - racconta Klugmann -. Non credo in una conoscenza superficiale, che è quella che esiste su internet e nei media tradizionali: credo nell’approfondimento. Avere provato sulla mia pelle questa superficialità che dà origine a preconcetti completamente avulsi dalla realtà mi ha convinto a rinunciare al mondo televisivo e a tornare alla mia realtà, molto più genuina».
Virtuale è reale, ce lo insegna il primo principio del Manifesto della comunicazione non ostile, che quest’anno è stato declinato anche in chiave aziendale: a scriverlo ci ha pensato la pubblicitaria Annamaria Testa insieme alle aziende che hanno aderito all’iniziativa, tra cui l’Autorità Portuale di Trieste, Illycaffè e Genertel. Stando a un sondaggio di Swg su Hate speech e Fake news condotto tra cittadini, lavoratori e dirigenti ce n’era decisamente bisogno: l’81% dei dirigenti ritiene che le aziende siano bersaglio di odio e fake news e il 59% afferma di riscontrare difficoltà nel controllo della propria immagine online.
Eppure le parole, come recita il quinto principio del Manifesto dovrebbero essere un ponte. È riuscita a renderle tali la giornalista Agnese Moro, figlia di Aldo, che in nome della riconciliazione ha avviato un dialogo tra ex terroristi e vittime della lotta armata. «La parola ponte per me è stata “disarmarsi” - racconta - un atteggiamento che aiuta ad ascoltare anche un linguaggio che ferisce». E altre parole ponte sono state proposte dalla telegiornalista Maria Concetta Mattei (interculturalità), dal giornalista e saggista Jacopo Iacoboni (Mediterraneo), dall’ex ministra all’istruzione Valeria Fedeli (diversità), dall’ex sindaca di Rosarno Elisabetta Tripodi (chiarezza).
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