«Paramilitari filorussi nel cuore dell’Europa»

Dalle operazioni di polizia che le autorità di Budapest hanno lanciato contro i «miliziani neonazisti» della Magyar Nemzeti Arcvonal, fino alle frange di Jobbik
Una foto di gruppo per i miliziani della magyar Nemzeti Arvonai (Mna)
Una foto di gruppo per i miliziani della magyar Nemzeti Arvonai (Mna)

BELGRADO. Sostenere segretamente gruppi di estremisti, incitarli a destabilizzare la regione, radicalizzarne altri fino a condurli sulla soglia del terrorismo. A corroborare la tendenza, l’omicidio di un poliziotto, un mese fa in un piccolo villaggio ungherese. È una storia tra geopolitica e romanzi di John le Carré quella che si starebbe svolgendo nel cuore della Mitteleuropa, in Ungheria ma anche in Repubblica ceca, Slovacchia e Polonia. Una storia che è stata suggerita dal think tank magiaro Political Capital, che ha pubblicato un “flash report” intitolato “L’omicidio di un poliziotto ungherese da parte dell’estrema destra: radicalizzazione filorussa nell’Europa centro-orientale”.

 

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Il rapporto ha il merito di collegare i punti di una vicenda complessa, partendo da un singolo evento drammatico. Il 26 ottobre, a Bony, duemila anime tra Budapest e il confine slovacco, la casa di István Gyorkös, 76 anni, viene circondata dalla polizia e dalle forze speciali ungheresi. Gli agenti fanno irruzione, Gyorkös imbraccia un fucile e fa fuoco colpendo un poliziotto che muore sul colpo. Gyorkös non è un anziano qualunque, ma «il leader dell’organizzazione neonazista Magyar Nemzeti Arcvonal 1989», abbreviata Mna, e nel villaggio aveva «il suo quartier generale».

E da Gyorkös la vicenda si allarga. Il think tank, citando anche altri studi e articoli risalenti agli anni scorsi, ha infatti confermato che la radicalizzazione dell’Mna e del suo leader, culminata con l’omicidio di ottobre, sarebbe stata «sostenuta da diplomatici russi e dall’intelligence» del Cremlino a partire dal 2012, con addirittura membri dell’intelligence militare russa impegnati nell’addestramento dell’Mna. Solo un caso? No, secondo gli analisti di Budapest. Oltre agli uomini di Gyorkös, farebbero il gioco del Cremlino anche frange di Jobbik, l’ultradestra magiara, terzo partito in Parlamento, i paramilitari razzisti di Betyársereg, l’«Armata dei fuorilegge» e anche l’Hvim, il Movimento giovanile delle 64 contee. Quale l’obiettivo del Cremlino? Quello di utilizzare tutti questi gruppi, dopo averli infiltrati per «fini propagandistici», per «destabilizzare» politicamente il Paese anche «con azioni violente», facilitate da frange «dei servizi segreti russi».

Fantapolitica? Non proprio. Nelle scorse settimane le autorità di Budapest hanno lanciato diverse operazioni di polizia contro l’Mna, arrestando una dozzina di suoi membri e confiscando armi e materiale di propaganda. E l’Mna non è un caso isolato e circoscritto alla sola Ungheria. Secondo Political Capital, infatti, altre formazioni paramilitari sarebbero state infiltrate da Mosca in Slovacchia, con gli Slovenski Branci, xenofobi e razzisti che avrebbero ricevuto addirittura addestramento militare da parte di ex istruttori dello Spetsnaz, forze speciali russe. Uno scenario simile in Polonia, dove si indaga su Mateusz Piskorski, leader degli estremisti di sinistra del partito Zmiana e su attivisti del Congresso della nuova destra (Knp), tutti sotto inchiesta per spionaggio a favore di Mosca.

Non manca un collegamento con la Repubblica ceca, dove attivisti di destra hanno favorito l’apertura di uno pseudo-consolato della Repubblica popolare di Donetsk a settembre. Tutte tessere di un pericoloso puzzle che, secondo Political Capital, può minacciare «la sicurezza nazionale» di vari Paesi dell’Europa centrale.

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