Paralizzata dopo l’operazione: chirurgo triestino condannato

Otto mesi con la pena sospesa a Fulvio Di Cosmo, 64 anni: nel novembre 2013 aveva effettuato l’intervento alla schiena sulla ragazzina all’epoca dodicenne

TRIESTE Non camminò più, dopo essere stata operata all’ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone per una scoliosi verticale grave il 10 novembre 2013. Aveva 12 anni. Sotto accusa i due specialisti in ortopedia presenti in sala operatoria. Ieri il giudice Giorgio Scorsolini ha condannato per lesioni colpose gravissime a 8 mesi di reclusione, pena sospesa, il chirurgo Fulvio Di Cosmo, 64 anni, triestino, difeso dall’avvocato Marco Zucchiatti. Il giudice ha invece assolto per non aver commesso il fatto Grazio Squitieri, che ora lavora all’ospedale di Portogruaro.

L’accusa aveva chiesto la condanna per il solo Di Cosmo. «Dopo sei anni finalmente il dottor Squitieri è stato liberato da quello che per lui, all’epoca agli inizi della carriera, è stato un vero e proprio dramma», ha commentato a caldo il suo difensore Giorgio Coden. Squitieri è stato scagionato perché nella veste di assistente del chirurgo primario non aveva partecipato materialmente all’intervento.

Il giudice ha affidato una perizia al consulente tecnico Raffaele Barisani il quale ha osservato che la sala operatoria di Pordenone non era dotata di uno speciale macchinario, detto dei potenziali evocati, che avrebbe consentito una rappresentazione continua della situazione e dunque di verificare se le viti fossero state infisse correttamente nelle vertebre della ragazzina per ancorare il sistema di stabilizzazione. Secondo l’accusa a causa dell’errato posizionamento di una vite è stata provocata una lesione midollare che ha portato alla paralisi.

L’avvocato Zucchiatti ha obiettato che la sala operatoria di Pordenone era perfettamente a norma, circostanza confermata da testimoni, che Di Cosmo, chirurgo di fama e molto esperto, ha eseguito senza tale macchinario più di 140 interventi analoghi, che le linee guida non prescrivono l’obbligatorietà del macchinario e che l’intervento era necessario per la ragazzina, vista la gravità della patologia. Non solo, durante l’operazione Di Cosmo ha eseguito numerose lastre di verifica. «Secondo il dottor Barisani – ha osservato Zucchiatti – il chirurgo avrebbe dovuto rifiutarsi di operare e indirizzare la paziente verso altre strutture. A Pordenone, però, c’erano le condizioni di sicurezza, e dunque non era possibile disobbedire al datore di lavoro, inoltre nel consenso informato era stato evidenziato il rischio di subire una lesione midollare». La difesa è pronta all’appello. —


 

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