Papà Goffredo, l’«aquila di Trieste»
E Maria Tripcovich era figlia del grande armatore Diodato
«Mio nonno mi ha trasmesso uno straordinario senso del dovere, mio padre una forte tradizione di disciplina militare. Le donne della mia famiglia, invece, mi hanno dato quel non so che di leggero e affascinante grazie al quale ho potuto sopportare la durezza - verso me stesso, s’intende - di certe prese di posizione».
In un’intervista rilasciata al Piccolo nel 1991, in quel suo ufficio della Tripcovich al Tergesteo che era in realtà uno splendido salone in palissandro tutto giocato sul contrasto dei colori - il marrone scuro del legno, il giallo della tappezzeria, l’azzurro delle poltrone... - Raffaello de Banfield parlava così dei suoi cari, di una casata che annovera sangue irlandese, inglese, austriaco, tedesco. Un perfetto esempio di famiglia mitteleuropea, insomma.
Il padre di Raffaello, Goffredo de Banfield, discendente da un’antica casata irlandese passata fin dal sedicesimo secolo al servizio degli Absburgo, nacque a Castelnuovo di Cattaro nel 1890, quinto figlio del capitano di vascello Richard Mitis Banfield e della baronessa Nathalie Mumb von Muhlhaim: era destinato a diventare l’ultimo cavaliere di Maria Teresa. Di cittadinanza inglese, acquisì quella austriaca per poter entrare nella scuola militare di St. Poelten.
Pilota della marina militare dell’impero, durante la prima guerra mondiale e fino al 1918 fu «L’Aquila di Trieste»: con il suo caccia L16 difese la città dalle incursioni degli aerei soprattutto italiani, e fu leggendario avversario di Francesco Baracca. Avversario, non nemico: fu lo stesso Gottfried, in un suo libro di memorie pubblicato nel 1984, a ricordare un ormai celebre incontro avvenuto in quota tra i due nel cielo di Sistiana il primo gennaio del 1917: «Da buon cristiano avevo sempre evitato di combattere per Natale, Capodanno e Pasqua...» Così, quando i due aerei si incrociarono, «invece di iniziare la battaglia salutai. Soltanto allora riconobbi il pilota e vidi sulla fusoliera il cavallino nero rampante. Egli ebbe un moto di stupore, sollevò lentamente la mano dalla mitragliatrice e la portò anche lui al berretto per salutare. Volammo vicinissimi, poi ci allontanammo in direzioni opposte»...
Goffredo de Banfield fu insignito nel 1917, dall’imperatore Carlo, della «Croce di cavaliere dell’ordine militare di Maria Teresa» che automaticamente gli conferì il titolo di barone. Disgregatosi l’impero e divenuto cittadino italiano, de Banfield nel 1920 sposò a Londra la contessa Maria Tripcovich, figlia del grande armatore Diodato, fondatore della società di navigazione e uno degli artefici della Trieste marinara.
Maria si era costruita una cultura europea. Aveva studiato in Inghilterra, in Svizzera e in Germania: nei collegi all’estero trascorreva i mesi estivi, anche se d’inverno frequentava la Scuola cittadina di Notre Dame de Sion. Di Maria, morta nel 1976, oltre alle molteplici iniziative benefiche, culturali e mondane in molti ricordano l’eleganza: fu la prima italiana a vestire Dior, raccontò una volta il figlio Raffaello che per lei coltivava un affetto immenso dovuto anche al fatto che fu l’unica, in famiglia, a sostenerne la vocazione artistica.
Dopo il matrimonio con Maria, la vita di Goffredo de Banfield fu votata soprattutto all’organizzazione della Tripcovich. Il 23 settembre del 1986, quando l’«Aquila di Trieste» morì, venne salutato dal suono delle sirene dei rimorchiatori e dal silenzio fuori ordinanza.
p.b.
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