Pansa: «Sono un miracolato della necropoli dell’Eternit»

Il giornalista è nato a Casale Monferrato e ci ha vissuto sino ai 25 anni. «Ma quel veleno pazzo mi ha graziato»
Lo scrittore e giornalista Giampaolo Pansa
Lo scrittore e giornalista Giampaolo Pansa

«Spero che non sia finita qui, che prima o poi possa esserci giustizia per Casale Monferrato, la mia città, la necropoli dell’amianto». Giampaolo Pansa, grande firma del giornalismo italiano, è nato nella piccola capitale dell’Eternit, che ha pagato finora già con oltre duemila vittime la presenza della grande fabbrica, senza che i tribunali italiani abbiano saputo condannare i responsabili di queste morti, il cui elenco è solo destinato ad allungarsi.

Pansa, qual è stata la sua reazione nell’ascoltare questa sentenza della Cassazione che ha annullato condanne e risarcimenti per intervenuta prescrizione?

Ho sentito la stessa delusione e la stessa rabbia della gente di Casale, che si trova a fare i conti senza rimedio con questo veleno pazzo del mesotelioma, questo invisibile assassino che si muove nell’aria e come in una inesorabile roulette russa punta la sua pistola alle tempie ora di uno ora di un altro, senza sapere a chi sarà destinata la pallottola letale. Purtroppo a Casale è morto non solo chi ha lavorato all’Eternit, ma anche chi ha semplicemente vissuto in città, magari anche lontano dall’impianto, ma è entrato in contatto con la polvere misteriosa e cattiva della morte. Se ripenso alla mia infanzia e giovinezza... Sono stato a Casale fino ai 25 anni di età, quando Giulio De Benedetti mi chiamò a Torino per entrare da praticante alla “Stampa”. E lì vicino all’Eternit ho giocato, ho fatto l’amore, ho respirato un’aria che ad alcuni ha già devastato i polmoni facendoli morire soffocati. Il pensiero terribile è che gli effetti di questa peste non li prescrive nessun codice penale, fanno ancora parte della vita di Casale, porteranno altre morti ancora.

Nel suo pezzo per “Libero” ieri ha tratteggiato una breve storia industriale della sua città, in cui l’amianto, quando è arrivato, ha significato riscatto per migliaia di persone.

Sì, questo è il grande prezzo che abbiamo pagato al mercato. Casale sarà ricordata come una delle grandi tragedie industriali di questo Paese. La dimostrazione che un capitalismo senza controllo fa presto a diventare una dittatura, sotto diverse vesti. Per una città di provincia come la nostra quella fabbrica equivaleva alla Fiat per Torino. Da noi o andavi in miniera a fare il sepolto vivo per tirar fuori la marna o entravi nei cementifici, che hanno avuto un vero boom a Casale, con le loro bocche di fuoco, in condizioni di lavoro appena meno bestiali che in miniera, oppure entravi all’Eternit, dove le paghe erano più alte che altrove, dove mettevi piede nella sicurezza economica perché un impiego lì era una polizza sulla vita. Chi poteva sapere, chi poteva immaginare...

Cosa prova quando torna nella sua città?

Mi sento un sopravvissuto. Ho avuto quell’aria nei polmoni per un quarto di secolo e sono arrivato a 79 anni con qualche acciacco dell’età ma per fortuna senza aver subito i colpi di quella malattia. E mi reputo ancora più fortunato perché quella sorte non ha toccato la mia famiglia: non mio padre, capo squadra per le Poste e telegrafi, non mia madre, che avevo un negozio, non mio zio, Francesco Pansa, che in due riprese ha lavorato all’Eternit. Il mostro non ci ha ferito, non ci ha ucciso, ma il pericolo non è scomparso. Tra le mie letture irrinunciabili c’è il bisettimanale cittadino, “Il Monferrato”: su ogni numero c’è una storia di una persona che ha combattuto e perso contro quel cancro. Qualche tempo fa il direttore del giornale, Marco Giorcelli, ha pubblicato la drammatica Spoon River di tutti i morti. Non poteva sapere che mancava un nome: il suo. Ci ha lasciato a poco più di cinquant’anni. È terribile. Con il passare dell’età, le radici topografiche, sentimentali, ti assalgono e ti riportano indietro nella memoria. E forse io lì trovo qualche consolazione.

Perché?

Perché Casale non l’ha distrutta la guerra e non la distruggerà il mesotelioma. Lo stato d’animo della gente è oggi certamente al minimo, ma la città ha tutte le risorse per reagire, per risollevarsi, e lo farà. Mia madre mi avrebbe detto: caro Giampa, chi è morto giace, chi è vivo si dà pace. Capisco questa disperazione, so che passerà. La Procura di Torino ha chiuso l’inchiesta bis per 256 casi di morte per cui è contestato l’omicidio volontario. Forse si poteva procedere da subito così, ma stiamo a vedere cosa succede.

Purtroppo tutta Italia fa i conti con scandali e storie drammatiche legate all’amianto, da Nord a Sud, dall’Italcantieri di Monfalcone all’Isochimica di Avellino.

Questo è il dramma nel dramma: la bonifica del materiale uscito dalla fabbrica è quasi impossibile, quella roba sta dappertutto e impianti così erano in molte zone. Io da anni vivo in Toscana, in campagna, e quando sono in giro vedo piccole costruzioni, magari un piccolo pollaio, dove è stato messo ed è rimasto l’amianto ondulato per recintare lo spazio. Sta lì, in un ambiente apparentemente immacolato, ed è la morte. Questa è la situazione.

Come si racconta un dramma del genere?

Senza nascondere niente, senza guardare in faccia a nessuno, men che meno a magnati svizzeri che giocano a fare gli ambientalisti: il rispetto non si deve a nessuno, tranne che alle vittime.

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