La panchina simbolo di Contovello perde pezzi: «Ora rimettetela a posto»
Il panorama sul golfo e la posizione appartata l’hanno resa celebre. Ma un asse è stato divelto ed è sempre meno utilizzata dai giovani
In morte di una panchina. Non ha mai avuto un nome preciso, ma chiunque sia mai stato a Contovello – per una passeggiata o, più probabilmente, per un pomeriggio in “osmiza” – la conosce. In sé non ha nulla di speciale, presentandosi con i suoi semplici assi di legno e con il profilo indistinguibile dalle tante simili in città e sul Carso. Eppure la vista sul golfo, soprattutto la sua collocazione al contempo appartata e aperta verso l’orizzonte, l’hanno resa un luogo per certi versi unico dell’altipiano.
Non casualmente, qualcuno ha osato battezzarla «la panchina degli innamorati». Lo scenario perfetto per scattare una fotografia da pubblicare sui social network, ma anche per una avventata dichiarazione sentimentale (il panorama è in grado di mitigare perfino le delusioni più scottanti). Non affrettatevi a cercarla su internet, nessun motore di ricerca riporta in modo fedele le testimonianze della sua esistenza. Che restano invece iscritte nell’immaginario di decine di triestini, legate in particolar modo ai ricordi giovanili.
Arrivarci non è così semplice. Se non la si conosce e non ci si fa guidare da amici o residenti di Contovello, si rischia di perdersi in mezzo alle stradine strette, fra salite e discese. Il percorso più veloce passa peraltro all’interno di una proprietà privata, segnata in modo inequivocabile da un cartello forse appeso proprio per scoraggiare le coppie più moleste. Ad ogni modo, qualche passo più in là rispetto alla chiesa di San Girolamo, si raggiunge uno spiazzo e, lì in mezzo, la famosa panchina.
Da lontano parrebbe la stessa di sempre. Ma non appena ci si avvicina, ogni sentimentalismo sparisce. Un asse è divelto, i braccioli arrugginiti, l’aspetto logoro e in fondo un po’ triste. Il meteo grigio e uggioso di questi giorni non aiuta, accentuando il contrasto con il suo pronubo e glorioso passato. La «panchina degli innamorati» sembra aver perso la magia d’un tempo. Quella sensazione di pace isolata, di bellezza “da cartolina” offerta a personale uso e consumo, appaiono tradite da una più pregnante percezione di trasandatezza. Ci si può ancora sedere, in ogni caso, grazie al provvidenziale intervento di uno sconosciuto che ha fissato una nuova trave di legno sopra quella divelta, magari con la speranza di approfittare per l’ultima volta delle doti da Cupido della panchina.
Perciò è necessario, in nome dei tanti innamorati timidi in cerca del luogo giusto in cui compiere il fatidico passo, spendersi in un canto funebre per la panchina. Magari è stata solo un’impressione passeggera, e l’affetto collettivo provato nei suoi confronti non ha subito alcuno smacco. Tuttavia qualcosa è cambiato, anche a girare lo sguardo nei dintorni. La vista rimane impareggiabile, però l’angolo nel suo complesso lascia intravedere i segni di un’incuria. Sia chiaro, nulla di grave. Ma qualcuno dovrebbe forse metterci mano, per riportare ai fasti della leggenda la panchina di Contovello (che, absit iniuria verbis, ricade all’interno del territorio del Comune di Trieste).
Perse o ridimensionate le virtù d’amore, restano intatte quelle contemplative. Mentre osserviamo le cicatrici lasciate sulla panchina, accanto passeggia una residente di Prosecco in compagnia del suo labrador nero. La quale confida di chiamare quello scorcio sul mare il «pensatoio», in onore dei benefici portati alla concentrazione. «È come guardare un album fotografico – dice – perché in ogni momento del giorno e in ogni stagione dell’anno il panorama cambia».
E in effetti non serve scomodare l’Infinito di Leopardi per coglierne il senso. Per quanto possa essere ammaccata e abbandonata a se stessa, anzi proprio in forza di questo abbandono, la panchina di Contovello rimane un rifugio per le menti solitarie. Qualcuno l’avrebbe vista bene come attrazione per turisti, vista la crescita di cui tanto si parla e si scrive di Trieste nella capacità di attirare visitatori. Ma forse va bene così: la panchina li guarderà dall’alto, ospitando scomodamente chi preferisce il silenzio.
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