Palmanova. Sottoterra nella città stellata tra i misteri dell’antica fortezza

Quattro chilometri di gallerie tra i rivellini e le fortificazioni a lunetta costruite da Napoleone, mentre spuntano anche camminamenti sconosciuti

Il cunicolo dove mi sto infilando, stretto come una tana di volpe, sicuramente non era previsto dagli ingegneri della Serenissima che, il 5 ottobre del 1593, posero la prima pietra di quella “fortezza reale di nove belloardi” che oggi conosciamo con il nome di Palmanova. Passo oltre la strettoia d’entrata strisciando fra ragnatele e ossa di piccoli di animali, mentre il fascio di luce elettrica del casco fora l’oscurità senza farmi vedere la fine del tunnel. Mi trovo nella cosiddetta Zona 9, a ovest di Porta Udine, oltre il rivellino di questa parte della cinta muraria di Plamanova, in un basso corridoio scavato su un piano elevato rispetto alla galleria di mina che porta alla lunetta napoleonica. Il sotterraneo dove mi sono ficcato non dovrebbe esserci. A differenza degli altri ipogei disposti a ragnatela lungo tutto il perimetro fortificato della città, nessuno ne conosceva l’esistenza. Finché gli speleologi della Commissione Grotte “E. Boegan” del Cai Alpina delle Giulie di Trieste, la più antica società speleologica del mondo, non l’hanno scovato seguendo il loro fiuto da segugi del sottosuolo. «Difficile capire a cosa servisse», mi dice affacciandosi al buco d’ingresso della galleria misteriosa Fabio Feresin, responsabile per la Boegan del Progetto Palmanova Sotterranea, varato nel febbraio scorso in accordo con il Comune palmarino con l’intento di realizzare la prima mappa ufficiale dei sotterranei della fortezza. Una carta non ufficiale - e forse più di una - esiste già: fu realizzata da Giovanni Vidale e Rodolfo Musuruana, allora adolescenti, che tra l’estate del 1970 e la primavera del ’71 si erano dati il compito di esplorare e mappare il reticolo di gallerie della città fortezza. Un’altra cartina disegnata a mano l’ha fornita Aldo Bobek, 75 anni, a lungo custode delle collezioni del Museo di guerra per la pace di Diego de Henriquez, e oggi presidente dell’associazione palmarina Pro Nuovo Museo. Ma un rilievo ufficiale, realizzato con tutti i crismi e soprattutto con le moderne tecnologie al laser, non c’è. E anzi non esistono nemmeno i piani di costruzione delle gallerie della cinta difensiva, sia per ovvie ragioni legate alla segretezza militare, sia perché i progetti dell’intera fortezza sono andati smarriti. Finora gli speleologi della Boegan hanno rilevato circa due chilometri di sotterranei sui quattro, e più, che si suppone compongano l’anima oscura dell’antico sistema difensivo di Palmanova. E per quanto le strutture fossero più o meno alla portata di chiunque, solo dopo i lavori di disboscamento e pulizia dei baluardi e dell’intera cinta ad opera della Protezione civile, è stato possibile liberare molti dei cinquanta accessi sotterranei nascosti dalla vegetazione. Portando alla luce qualche sorpresa, come il budello dal quale sto uscendo a fatica. «Dobbiamo ancora verificare - spiega Feresin mentre ci spostiamo verso un altro sotterraneo - se anche gli altri camminamenti delle lunette sono dotati di gallerie come questa a un livello superiore, la cui funzione è tutta da dimostrare».

Mentre camminiamo nel fossato mi rendo conto come non sia facile avere un quadro schematico del sistema difensivo di Palmanova, sopra e sotto. La città stellata appare come un frattale che moltiplica un’idea di fortezza intesa come macchina da guerra. La Serenissima concepì questo avamposto della cristianità contro i turchi e le mire arciducali austriache secondo schemi allora modernissimi. Due cerchi di protezione con cortine, baluardi, falsebraghe, fossato e rivellini a salvaguardia delle tre porte d’ingresso con il numero di bastioni, la lunghezza dei lati e l’inclinazione della mura stabiliti in funzione della gittata dei cannoni dell’epoca. Il risultato fu un ennagono con nove baluardi a punta di freccia, nove rivellini (fortificazioni a punta) e, nella terza cerchia più esterna, nove fortini anche questi a forma di punta di freccia detti lunette, aggiunti più tardi da Napoleone visto che i cannoni si erano evoluti in potenza e gittata. Nell’insieme quasi una figura cabalistica, la razionalità dei numeri al servizio della guerra. Ma qualcosa non quadra del tutto. Sottoterra si sviluppa un altro reticolo geometrico dove non mancano le sorprese.

La tipologia dei sotterranei di Palmanova in fondo è semplice: ci sono i camminamenti dei rivellini, sotto la cerchia di epoca veneta, a forma di tridente allargato, con una galleria centrale a fondo cieco in coincidenza con il vertice del rivellino. In caso di assedio questa poteva essere il punto di partenza per un ulteriore scavo con lo scopo di rompere l’accerchiamento o, se minata, poteva far saltare in aria eventuali opere degli attaccanti. Poi ci sono i camminamenti delle lunette, di epoca napoleonica, realizzati per proteggere i rinfozi diretti alla lunetta e un’eventuale ritirata da questa, con due scale che dal sottosuolo portano al piano superiore del fortino. Infine ci sono le condotte drenanti, passaggi più stretti, sempre ottocenteschi, che rappresentano un’integrazione a quel capolavoro di idraulica che fu alla base della costruzione di Palmanova.

Dopo una puntata nei cunicoli dell’antico acquedotto, un’altra nei camminamenti di una delle cinque lunette sulle nove rimaste integre, e una terza nella galleria cinquecentesca di un rivellino (dove sorprende trovare una volta a ogiva come quelle dei francesi ma costruita tre secoli dopo), con gli speleologi della Boegan raggiungo Porta Aquileia. Entriamo nelle gallerie che portano alla lunetta per effettuare il rilievo. Il pavimento lastricato e un canale di scolo sono un’ulteriore testimonianza della maestria architettonica di quel complesso sotterraneo definito dalle genti del Cinquecento “la corazza d’ogni fortezza”. Mentre avanzo nello stretto e basso passaggio sotterraneo ringraziando l’inventore del casco, chiunque egli sia, il rilevatore esperto del gruppo della Boegan, Augusto Diqual, tira fuori un apperecchio DistoX, dispostivo elettronico per il rilievo concepito apposta per gli speleologi. È composto da un telemetro laser e da una scheda d’espansione integrata con una bussola e un clinometro elettronici, più una connessione Bluetooth per la trasmissione senza fili dei dati acquisiti. «La bussola a tre assi - spiega Diqual - permette misure in qualsiasi direzione, con un orientamento qualsiasi dell’apparecchio e con la massima precisione». In pratica si può avere il disegno della cavità sullo schermo del palmare in tempo reale, man mano che si procede nell’esplorazione. «Ecco - interviene Feresin - questa parte dei sotterranei è più complessa, ci sono più diramazioni: sono le varianti a uno schema costruttivo altrimenti uguale».

Quando usciamo alla luce del sole c’è ancora il tempo per una visita alla sortita del bastione retrostante. È una galleria altissima e in pendenza, da dove era previsto uscissero i reparti a cavallo nel caso si dovesse tentare una sortita contro gli assedianti. La galleria è stata chiusa ed parzialmente ostruita da terra di riporto. Sorte, del resto, toccata anche ad altri sotterranei non completamente percorribili.

Secondo il sindaco di Palmanova, Francesco Martines, e con lui l’assessore all’Urbanistica Luca Piani, il progetto di esplorazione e rilievo dei sotterranei «avrà un profondo valore storico e scientifico, e servirà per la valorizzazione turistica dell’intera cinta: entro l’estate vorremmo aprire al pubblico almeno uno dei tratti sotterranei scoperti, e anzi già in aprile organizzeremo visite guidate nell’ambito della manifestazione Pasquetta sulle mura». D’altro canto una delle lunette, compreso il corridoio sotteraneo, è già stata restaurata e da tempo ospita il Museo Storico Militare. Ma l’obiettivo finale è il riconoscimento da parte dell’Unesco di Palmanova come patrimonio dell’umanità. L’iter è già partito e, dice Piani, «è a buon punto».

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