Palestre, la crisi taglia il wellness

I gestori: frequentatori in calo, introiti giù del 30%. Il nodo del certificato medico

Sono nate all'insegna della cura maniacale per il proprio corpo e hanno raggiunto la massima espressione negli anni Ottanta, passando attraverso diversi cambi di filosofia e di approccio alla disciplina: da quello muscolare del body building al benessere fisico sprigionato dal fitness, fino ad arrivare all'evoluzione contenuta nel concetto di welless inteso come equilibrio psicofisico. Adesso però anche le palestre, veri e propri regni dell'attività fisica, sono costrette a fare i conti con la crisi economica. Sono una ventina le strutture presenti a Trieste, nelle quali gli appassionati del genere - alcune migliaia in città - vanno alla ricerca della forma migliore, tra duri allenamenti e stille di sudore, in mezzo a pesi, bilancieri, lunghe serie di addominali, corse sui tapis-roulant e pedalate in sella alle cyclette.

Il costo medio di un abbonamento in palestra si aggira oggi sui 50 euro mensili, ma negli ultimi mesi i gestori hanno dovuto far fronte a una vistosa diminuzione delle iscrizioni e di conseguenza a un inevitabile calo degli introiti, pari mediamente al 30 per cento. «Il nostro settore ha risentito pesantemente della crisi economica - afferma Ricky Ramazzina, pluricampione di body building e titolare di “California Palestre”, marchio che conta su cinque sedi in città -. Molte persone hanno dovuto giocoforza rinunciare a questa spesa. In modo particolare la fascia dei giovani che ormai sono costretti a dover fare delle scelte: ad esempio tra una serie di sedute in palestra o il divertimento delle uscite serali. A tutto questo vanno aggiunti gli elevati costi di gestione ai quali dobbiamo far fronte. Ed è chiaro che a quel punto si fa fatica a far quadrare i conti».

Pensieri condivisi da altri titolari di palestre. «La crisi è esplosa soprattutto nel corso dell'ultimo anno - rileva Roberto Bolelli, alla guida del Nuovo Oasi Club -. Nelle tasche della gente ci sono sempre meno soldi e in tanti hanno preferito rinunciare a una pratica che riguarda la salute ed il benessere del proprio corpo, privilegiando magari altre situazioni: se vogliamo è anche una questione culturale».

Come se non bastasse la scure della crisi, da qualche mese ci si è messo pure l'inghippo legato al certificato medico di idoneità fisica. Il recente decreto del fare ha soppresso l'obbligo di certificazione per la cosiddetta attività ludico-motoria e amatoriale, inserito nella legge Balduzzi dell'aprile 2013. In sostanza, chi pratica attività sportiva in palestra non deve più presentare alcun documento. «Fino a qualche tempo fa avevamo l'obbligo di richiedere il certificato di idoneità fisica ai nostri iscritti - afferma Ramazzina -. Adesso invece non è più così: se da un lato questo fatto ci semplifica le cose, dall'altro ce le complica. Nel caso qualcuno si senta male all'interno delle nostre strutture, di chi è a quel punto la responsabilità? E soprattutto chi ci tutela nella nostra attività di gestori?». Domande che al momento sono destinate a rimanere senza risposta. Ma non basta: a questo si aggiunge la distinzione tra diverse tipologie di palestre. «Il decreto Balduzzi aveva indubbiamente delle finalità importanti e positive, ma la sua applicazione ha lasciato alquanto a desiderare offrendo il fianco a diverse interpretazioni - aggiunge Bolelli -. Basti pensare che se le palestre sono affiliate al Coni, come nel mio caso, l'obbligo del certificato di idoneità fisica rimane, mentre non è più cosi per le strutture private a carattere commerciale, dove la responsabilità resta in capo ai gestori: una situazione che nel suo complesso si presenta decisamente ingarbugliata ed ambigua».

Pierpaolo Pitich

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