Palestre in ginocchio nel Monfalconese. Una chiude e vende gli attrezzi

MONFALCONE Palestre e scuole di danza sono allo stremo. La chiusura senza interruzioni e soprattutto “mitigazioni”, a differenza di quanto avvenuto in parte per la ristorazione, durante il primo lockdown e da autunno a ora sta mettendo a rischio un intero settore, anche a Monfalcone, dove una prima realtà è stata costretta a cessare l’attività, e nei centri limitrofi. La “vittima” è CrossFit Gorizia, che operava da sei anni in via degli Schiavetti, nella zona industriale e artigianale sud della città. Il titolare ha annunciato anche la vendita delle attrezzature e degli arredi, ringraziando collaboratori e quanti hanno sostenuto la sua attività.
Troppe le spese fisse, ma a incidere c’è anche, almeno per la realtà monfalconese, una legislazione ambigua che, secondo gli addetti ai lavori, «penalizza chi vuole fare impresa sportiva e non nascondersi dietro un’associazione», godendo quindi di un regime fiscale ben più leggero. Non a caso quindi è stata tentata anche la strada della cessione dell’attività a una società sportiva, perché subentrasse, ma la ricerca non ha prodotto risultati.
«Siamo chiusi da mesi e, se non ci sarà una ripresa in tempi brevi, dovremo cedere le armi tutti quanti», afferma Alessia Maurutto, laureata in Scienze motorie, che ha aperto nel 2015 fa la palestra Studio PosturAle a Redipuglia. «Intanto non ho potuto rinnovare un contratto e ho una dipendente in cassa integrazione da novembre, che però non ha ancora percepito un’indennità – racconta –. A maggio noi abbiamo inoltre aperto a incasso zero, rispetto alla ristorazione, perché abbiamo recuperato gli abbonamenti non usufruiti. Intanto le spese fisse, gli affitti ci sono sempre».
I ristori? «In tutto sono arrivati circa 2 mila euro, di certo non sufficienti a coprire le uscite che continuano a esserci», aggiunge Maurutto. Come un contributo minimo lo danno gli abbonamenti per l’allenamento online, scelto da pochissimi clienti. Specializzata con laurea magistrale all’Università di Padova in Scienze e tecniche dell’attività motoria preventiva e adattata, e potendo contare su uno spazio di 500 metri quadri, Maurutto sperava di poter almeno effettuare in presenza lezioni uno a uno per le persone anziane, con disabilità o con esigenze di recupero funzionale dopo un infortunio. «Invece non c’è stato alcun interesse, alcuna flessibilità – sottolinea –. L’attività fino all’inizio del 2020 era andata bene, mi sono ampliata, ho potuto prendere dei giovani e ora, se la cosa dovesse durare fino a maggio, non so se ce la farò».
La situazione è gravissima, conferma Massimiliano Gallet, titolare della palestra Unika di via Parini a Monfalcone, tra i primi a farsi sentire in primavera per denunciare i problemi del settore anche con un cartello in piazza della Repubblica. «Ho buttato via vent’anni di lavoro», afferma, confermando come gli aiuti siano ammontati in tutto finora a 2.200 euro contro un’uscita mensile che resta di ben oltre il doppio e come i corsi online di fatto non funzionino. «Da soli, a casa, davanti a uno schermo in realtà non ci si allena», spiega. «A mio avviso siamo già tutti oltre il limite temporale per la riapertura – aggiunge –. E chi ce la farà, sarà comunque indebitato fin sopra i capelli. Anche se si riprende il 3 marzo, dovremo di nuovo recuperare gli abbonamenti rimasti in sospeso e comunque non tutti ritorneranno, almeno non subito, visto il contesto».
Gallet, che in questi ultimi mesi non ha rinnovato i contratti di tre collaboratori, si chiede, dopo tutti gli sforzi e gli investimenti compiuti in estate per mettere in sicurezza la palestra, perché non sia stato stato concesso di continuare a operare in presenza, seppur riducendo al minimo l’attività, in base agli spazi disponibili. «Se non ce la faccio, chi risponderà del mio fallimento? Sarò io o lo Stato?», si domanda Gallet. —
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