Pahor: «Quel giorno nacque così con Mattarella l’idea di tenerci la mano»

L’ex presidente della Slovenia: «Il mio futuro? Farò l’accademico o l’imprenditore. Oppure entrambe le cose»

Mauro Manzin
Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse Francesco-AMMENDOLA
Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse Francesco-AMMENDOLA

LUBIANA Jeans, camicia azzurra e sneakers bianche, l’ex presidente della Slovenia Borut Pahor ci spiazza con il suo casual da ufficio mentre noi incravattati sudiamo in rigoroso abito scuro.

Il nuovo Pahor, quello che per 10 anni fu presidente della Slovenia, oggi ha diritto (per un anno) a un ufficio (e che ufficio), al 17mo piano della Torre 3 di piazza della Repubblica e a un assistente.

Borut Pahor, già presidente della Slovenia
Borut Pahor, già presidente della Slovenia

Davanti a due ottimi caffè (rarità in Slovenia) gli ricordo che poco meno di un anno fa a Bled gli chiesi che cosa avrebbe voluto fare da grande. Allora non mi rispose, oggi le prospettive ci sono e sono già molto concrete.

«Il mio futuro? O farò l’accademico oppure l’imprenditore, oppure le due cose insieme». Dunque professore di politica internazionale? «Ma neanche per sogno, insegnerò tradizioni popolari».

E gli affari? «Qualcosa si sta muovendo con la Bank of America». Ad attenderlo sono tre atenei. Quello ovviamente di Lubiana, l’Università europea di Firenze e la Columbia University di New York. «Il problema è che io non sono laureato - spiega Pahor - ho solo la laurea honoris causa dell’Università di Lubiana, per questo motivo potrei lavorare solo come professore o lettore ospite e non come parte di un vero e proprio corpo accademico».

Dunque per ora non si fermerà a guardare i cantieri come fanno i pensionati in Italia? «No, no, replica sorridendo, devo lavorare ancora 5 anni per maturare la pensione e poi, chissà, forse piacerà anche a me questo “passatempo italiano”».

Rilassato, nel suo ufficio, circondato dalle onorificenze ricevute nel corso dei suoi anni da presidente della Slovenia, esclude che il suo futuro coniughi il concetto di politica. Nessun incarico a Bruxelles? La buttiamo lì pensando alla presidenza del Parlamento europeo o del Consiglio europeo. «Sa - dice - per quei posti bisogna continuare a fare politica, rimanere nei giochi e io ne sono fuori. Ma se qualcuno mi chiamasse sono qui, pronto a dare la mia esperienza». Ma è stato un atto politico, la sua recente dura presa di posizione sulla cancellazione della Giornata del ricordo delle vittime dei comunisti dopo la seconda Guerra mondiale in Slovenia. «Quello è stato un errore grave, molto grave», annota Pahor, e poi glissa.

La nottata in Libia con Berlusconi

Cerchiamo, vista la buona atmosfera, di rubargli qualche indiscrezione un po’ più gossipara. E così scopriamo che una delle situazioni più buffe che ha vissuto da presidente è stata una nottata intera passata nel giardino di un albergo in Libia mentre si trovava in visita a Gheddafi con l’allora presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, recentemente scomparso. «Mi sembra che trattavamo per la liberazione di un gruppo di donne svizzere». «Beh, quella notte fu una delle più divertenti della mia vita, con Berlusconi scattò subito l’empatia e ci raccontammo per la notte intera, bevendo anche molto, episodi personali a volte riservati, ma che con Silvio diventavano subito delle gag quasi da cabaret. Era un uomo particolare che amava la vita e i suoi risvolti più positivi».

l’intervista
Pahor: «C’è il rischio che la guerra crei un nuovo muro con l’Est»
Borut Pahor

Gli incontri con Putin

Pahor ha anche più volte incontrato il presidente russo Vladimir Putin: che idea se ne è fatto? «Un uomo carismatico che sa quello che vuole e lo ottiene con tutti i mezzi. Qui a Lubiana si incontrò con l’allora presidente Usa Bush e sembrava che si potesse creare lo status di un nuovo mondo dopo la caduta del comunismo, ma così non fu perché Putin si sentì considerato come il leader di un Paese sconfitto, mentre la seconda Guerra mondiale l’Unione sovietica l’aveva vinta con grandi sacrifici. E così, nel seguente vertice sulla sicurezza a Monaco, Putin dimostrò tutta la sua nostalgia per l’ex impero sovietico e mutò posizione politica. Però le confesso che mai avrei creduto che invadesse l’Ucraina». E adesso? «Adesso dobbiamo stare tutti uniti a fianco di Zelensky, si sta giocando una partita molto importante anche per l’Europa».

Già, l’Europa. E i Balcani? «L’unica soluzione è farli entrare tutti insieme nell’Ue». Ma il Kosovo? «Lo risolveranno, e poi nell’Europa capiranno che il nazionalismo non paga ed è inutile. Lo stesso vale anche per la Bosnia, altro punto critico per i giochetti di Dodik».

La stretta di mano con Mattarella a Basovizza

Nel luglio del 2020 la visita di Mattarella e Pahor con l’immagine simbolica mano nella mano
Nel luglio del 2020 la visita di Mattarella e Pahor con l’immagine simbolica mano nella mano

E a proposito di giochetti, o meglio, di atti di prestidigitazione della politica, Pahor può dire ora come nacque l’idea tra lui e il presidente italiano Sergio Mattarella di tenersi per mano davanti alla Foiba di Basovizza e al monumento agli sloveni fucilati dai fascisti?

Ecco: «Tutto parte da lontano, da un summit dell’Iniziativa Brdo-Brioni ad Atene - racconta Pahor - quando io e Mattarella ci sedemmo in disparte e cominciammo a discutere dei problemi tra i nostri due Paesi.

Lì nacque l’idea della restituzione della Casa del popolo alla minoranza slovena e la visita a Basovizza. Entrambi ci siamo ritrovati sulla necessità di non buttare la storia sotto un tappeto per nasconderla, ma piuttosto di testimoniarla.

il percorso di pacificazione
Mattarella alla storica firma della restituzione del Narodni Dom di Trieste alla Comunità slovena
Foto Bruni Trieste 28.03.2022 Il Presidente Mattarella in Prefettura

Le due settimane che precedettero quel 18 luglio 2019 furono difficili. Mattarella veniva attaccato per la corona d’alloro ai fucilati sloveni, io per gli onori agli infoibati; ci fu, mi ricordo, un fitto scambio epistolare all’epoca tra me e Matarella. Il giorno fatidico ci incontrammo alla caserma di Opicina.

A quattr’occhi Mattarella mi disse: “Ti ricordi la pacificazione a Verdun tra Germania e Francia con la stretta di mano tra Kohl e Mitterrand? Sì, risposi. Beh, facciamolo anche noi oggi qui a Basovizza, disse Mattarella. Fui d’accordo. E così facemmo quell’atto che mai rinnegherò nella mia vita».

Riproduzione riservata © Il Piccolo