Ospedale Maggiore di Trieste, quel progetto extralarge nato dalla tassa sul vino di Maria Teresa

Costruito a partire dal 1834, fu pensato su modello dei grandi nosocomi della scuola medica viennese. Venne realizzato con dimensioni superiori alle esigenze del tempo, ma guardando al futuro della città. Da qui il suo nome.

Zeno Saracino
L'Ospedale Maggiore di Trieste (Lasorte)
L'Ospedale Maggiore di Trieste (Lasorte)

Il Civico Ospedale di Trieste, poi definito Maggiore nell’Ottocento a causa della comparazione con gli ospedaletti delle comunità e dell’ex episcopio di San Giusto, affonda le sue radici in un periodo storico preciso: gli anni centrali a metà Ottocento segnano infatti il trionfo della scuola medica viennese, all’epoca considerata all’avanguardia. E l’Ospedale Maggiore triestino riflette questo fatto, ripresentando il modello dell’Allgemeines Krankenhaus di Vienna.

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L’ospedale di Cattinara, il Maggiore e l'ex ospedale Militare (Lasorte)

Il modello di una capitale

Il Maggiore in effetti ripropone, a partire dalle dimensioni, il modello di una capitale: un grande quadrilatero con sotterranei e tre piani fuori terra racchiude un giardino rettangolare addolcito dagli ippocastani. Le facciate, nella sezione esterna, presentano una base di masegno, arcate in pietra d’Aurisina e, nella sezione centrale, balaustre in pietra per le finestre con aperture ad arco. L’impianto rimane ancora saldamente classico, improntato all’armonia delle forme; ne sono prova i timpani al primo piano, sopra la successione di finestrelle identiche.

Le dimensioni dell’Ospedale, risultate poi vantaggiose man mano che la città si espandeva nel secolo successivo, vennero osservate anche dai costruttori: il Maggiore infatti è il risultato di numerosi rimaneggiamenti in corso d’opera, spesso con l’intervento della stessa comunità medica triestina.

Il dazio dei poveri

Il motore della costruzione fu il “dazio dei poveri”, una tassa imposta da Maria Teresa sul vino: i ricavati permisero la crescita di un patrimonio che, arricchito da donazioni e proventi d’altre tasse, finanziò l’acquisto del fondo Cassis Hoffman, scelto per la lontananza dalla città nuova teresiana e per la presenza di molteplici fonti di acqua potabile.

Il progetto

Il funzionario della Direzione delle fabbriche Antonio Juris stese il progetto iniziale per il quale s’interessarono presto, dalla comunità medica triestina, Antonio Jenniker, imperial regio consigliere di Governo e protomedico del Litorale, il fisico magistratuale Piero de Garzarolli e Demetrio Frussich, medico primario anziano dell’ospedale di San Giusto.

In particolare Frussich, che nonostante la fede serbo ortodossa aveva studiato Architettura proprio a Vienna, apportò numerose modifiche al piano originale, migliorandone il sistema idrico. Sotto il profilo invece architettonico Pietro Nobile, all’epoca consigliere aulico delle Fabbriche a Vienna, contribuì a propria volta e Domenico Rossetti, scrivendo nel 1826, si augurò

uno spedale che debba corrispondere non solo ai presenti, ma anche ai futuri bisogni fabbricato assai più vasto dell’occorrenza presente, e disposto a modo di potersi sempre fare nuovi accrescimenti senza turbare quanto già esistente.

La costruzione, affidata al milanese Domenico Corti, già attivo in città, iniziò infine nel 1834, proseguendo con alcune correzioni di rotta (l’utilizzo della pietra bianca, ad esempio) fino al 20 luglio 1841, quando il primo paziente – un invalido novantenne dall’ospedale di San Giusto – fu accolto nella struttura nuova di zecca.

La ruota degli esposti

Una delle sopravvivenze maggiormente interessanti dell’Ospedale ottocentesco rimane, in via della Pietà 2/1, una targa di pietra che recita “Perché il padre mio, e la madre mia mi hanno abbandonato. Ma il Signore si è preso cura di me – Salmo XXVI v. 10”. Lo spazio al di sotto appare murato, ma in origine ospitava una ruota degli esposti, volta a consentire alle madri di consegnare anonimamente il neonato.

Tutt’oggi molte famiglie triestine recano nei cognomi – dall’”Esposito” al “Trovato” – il ricordo di orfani abbandonati a un migliore destino. —

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