Osmizze, rifugio per una Pasqua piovosa
«L’osmizza esalta la specificità di territori particolari come la provincia triestina e il Carso, una forma di ospitalità che da sempre pone in risalto le bontà vinicole e agricole di produttori eroici, da secoli impegnati a coltivare terreni impervi sottratti al degrado e all’incuria». Non usa mezzi termini Ivo Bozzato, direttore provinciale della Coldiretti, sinceramente entusiasta di quella “frasca” che continua a rappresentare una delle tradizioni rurali più interessanti e tipiche del comprensorio giuliano.
«È necessario porre forte l’accento sul ruolo dei viticoltori triestini - insiste Bozzato -, l’osmizza come la conosciamo è una creazione loro, un investimento su una terra difficile e particolare come il Carso che continua a essere patrimonio di tutti. Chi frequenta l’osmizza beve il vino triestino, mangia salami e prosciutti caserecci. Queste produzioni, oltre a valorizzare quel che di buono c’è, da sempre permettono di conservare il territorio nei suoi aspetti paesaggistici e dunque artistici. C’è davvero di che inorgoglirsi, perché in sostanza le frasche sono un biglietto da visita davvero tipico e qualitativamente alto della nostra provincia». E un’attrattiva per i turisti.
La tradizione dell’osmizza è profondamente radicata nell’area carsolina. Un’attività che da sempre integra e aiuta a differenziare le attività delle aziende agricole. Anche chi, come Benjamin Zidarich, è viticoltore affermato in Italia e all’estero, continua a coltivare l’antica tradizione.
«Non dobbiamo dimenticare mai da dove abbiamo incominciato – sostiene Zidarich – rendendo onore alla splendida invenzione della frasca che dobbiamo a Maria Teresa d’Austria. Le osmizze rimangono un punto di riferimento per la diffusione dei nostri prodotti ma pure per la socializzazione e l’incontro delle persone».
Dello stesso parere anche Sandi Skerk, viticoltore di punta del comparto triestino, che assieme alla famiglia, proprio durante queste festività, apre alla clientela, a Prepotto, una delle frasche più gettonate della provincia. «Si beve di meno – spiega Skerk -, tuttavia c’è molta più attenzione per la qualità, e questo è senz’altro un buon segno perché significa che l’educazione al consumo ragionevole e ai prodotti di livello sta crescendo».
Proprio in questi giorni è apparsa in edicola una sintetica guida, con piantina allegata, delle osmize e degli agriturismi esistenti sul territorio triestino e nel contiguo Carso sloveno. Uno strumento utile redatto in cinque lingue con acclusi cenni storici, e soprattutto, gli indirizzi e i periodi di apertura delle diverse aziende.
Le osmizze sono diffuse anche nell’immediato circondario di Trieste. Sulla collina di Roiano, per esempio, dove Andrej e Erika Ferfoglia gestiscono un esercizio agrituristico che è figlio di un frasca storica, ambientata in un paesaggio da favola con vista stratosferica sull’intero golfo. «Abbiamo scelto questa strada per dare ai clienti anche dei piatti caldi – conferma Andrej -. Più che la crisi e gli etilometri, siamo preoccupati per la presenza di troppi cinghiali, un problema che purtroppo nessuno riesce a risolvere e che ci causa danni ingenti».
A Longera invece la famiglia Odoni propone ai clienti sia l’offerta agrituristica che quella dell’osmizza classica. «È una scelta impegnativa - afferma il titolare Daniele -, ma che ci consente di dare ai clienti un punto di riferimento continuo con prodotti sia sfusi che imbottigliati. Per il resto ci “difendiamo”, visto che la gente beve sempre di meno, mentre ci sono sia la crisi economica e sia l’etilometro a condizionare tasche (e patenti)».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo