Orban cambia la Costituzione e sfida l’Ue

Approvata la svolta autoritaria del governo ungherese. I socialisti lasciano l’aula. La coalizione democratica: «Tirannia»
Di Stefano Giantin
epa03619329 Members of the Parbeszed Magyarorszagert (Dialogue for Hungary) opposition party hold banners written: 'Fear the people, but do not fear Viktor! Vote NO!' prior to the voting of the modified Fourth Amendment of the Basic Law in the Parliament building in Budapest, Hungary, 11 March 2013. Behind the protesters Hungarian Prime Minister Viktor Orban (5-R, in the front row) reacts. 68,8 per cent of the Members of Parliament voted yes to the modified Basic Law. EPA/SZILARD KOSZTICSAK HUNGARY OUT
epa03619329 Members of the Parbeszed Magyarorszagert (Dialogue for Hungary) opposition party hold banners written: 'Fear the people, but do not fear Viktor! Vote NO!' prior to the voting of the modified Fourth Amendment of the Basic Law in the Parliament building in Budapest, Hungary, 11 March 2013. Behind the protesters Hungarian Prime Minister Viktor Orban (5-R, in the front row) reacts. 68,8 per cent of the Members of Parliament voted yes to the modified Basic Law. EPA/SZILARD KOSZTICSAK HUNGARY OUT

BELGRADO. Lunghi gonfaloni neri a garrire al vento dalle finestre del Parlamento ungherese, agganciati ai parapetti da un deputato della minoranza. La democrazia è morta, ha voluto così simbolicamente annunciare ieri pomeriggio un parlamentare socialista, mentre i suoi compagni di partito abbandonavano l’aula e i colleghi d’opposizione, quelli della “Coalizione democratica”, esponevano un grande striscione. Sulla stoffa solo la parola «tirannia». Tirannia, autocrazia, democrazia a lutto. Sarebbe questa l’Ungheria plasmata dal premier conservatore, Viktor Orban, almeno secondo i suoi oppositori. Un’autocrazia dove, malgrado le esortazioni a ravvedersi di Bruxelles e di Washington, si è votato ieri per dare luce verde a controversi emendamenti alla Costituzione. E il voto, in un Parlamento controllato per due terzi dai deputati della Fidesz, il partito del primo ministro, non ha riservato sorprese. Il cosiddetto “Quarto emendamento”, quindici pagine di modifiche alla Costituzione, è stato approvato con il sì di 265 deputati. Solo 33 le astensioni, 11 i voti contrari. A niente è valso un ultimo appello dei parlamentari del piccolo partito di minoranza, “Dialogo per l’Ungheria”, che hanno chiesto alla maggioranza di «votare no», di «non aver paura di Viktor, ma solo del popolo». Una maggioranza che, compatta, ha invece dato via libera allo stravolgimento della Carta. Cosa cambia ora? Un “paper”, postato ieri mattina sul web da Tamas Boros, direttore dell’influente think tank ungherese “Policy Solutions”, riassume la dimensione dei cambiamenti. Le «relazioni familiari» sono solo quelle basate sul matrimonio tra uomo e donna e di fatto si «escludono» dalla legislazione ungherese «le unioni civili». S’introduce l’obbligo di lavorare in Ungheria per un numero ancora non specificato di anni «per gli studenti che hanno ricevuto aiuti finanziari» dallo Stato per poter studiare nelle università pubbliche. Si potranno «espellere legalmente i senzacasa dagli spazi pubblici», ultima tappa nell’interminabile conflitto che per mesi ha visto di fronte Budapest e le associazioni che si battono per i diritti degli “homeless”. Tutte decisioni già prese in passato e cassate della Consulta e ora ripristinate inserendole nella Costituzione. Malgrado le critiche internazionali e dell’opposizione. «Non solo l’opposizione, ma anche gruppi della società civile e l’ex presidente della Repubblica, Laszlo Solyom, hanno criticato l’emendamento», aggiunge Istvan Hegedus, numero uno del think-tank “Hungarian Europe Society”, già oppositore del regime socialista e attivo durante la transizione democratica. Hegedus che subito dopo ricorda i rilievi già mossi in passato contro la Costituzione “originaria” voluta da Orban. «Questa volta però», aggiunge al telefono da Bruxelles, il premier è andato oltre, «in una direzione che forse può essere chiamata dittatura parlamentare». «Certo, in Ungheria ci sono Internet, giornali parzialmente o totalmente liberi, ci si può riunire per protestare», non è un regime. «Ma questo è un passo terribile verso la dittatura parlamentare», ribadisce. Un passo compiuto anche «sopprimendo» - questo il “vulnus” più grave - «le competenze della Corte costituzionale di analizzare e giudicare» le leggi proposte dal governo. La Consulta potrà in futuro solo «fornire opinioni sugli aspetti procedurali, non sul contenuto» di quelle norme, illustra Hegedus. L’ultima speranza che Budapest faccia marcia indietro e non vada nella direzione paventata da Hegedus è ora il presidente della Repubblica, Janos Ader, un altro fedelissimo di Orban, che dovrà promulgare l’emendamento. Qualche centinaio di “arrabbiati” gli ha chiesto ieri di non diventare corresponsabile del presunto “putsch”. Difficile che Ader accolga la richiesta, mentre Budapest attende la reazione dell’Ue. Che si annuncia durissima.

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