Orafo di Capriva a processo per appropriazione indebita
CAPRIVA Orafo di Capriva finisce a processo per appropriazione indebita. L’uomo, Alen Marini, 47 anni, aveva accettato un mandato di vendita per un gioiello, un bracciale in oro sul quale erano montate cinque Sterline inglesi, ma una volta concluso l’affare, non aveva provveduto a consegnare il corrispettivo in denaro alla cliente proprietaria del monile.
Tra i solleciti e le richieste di incontro della donna al fine di riscuotere il dovuto, l’artigiano aveva sottoscritto una dichiarazione di impegno a rispettare il pagamento, concordato in rate. La cliente aveva avuto un acconto, 700 euro. Un terzo dell’ammontare di oltre 2 mila euro. Il resto della somma sembrava “volatilizzatasi”, considerato che la donna non aveva ricevuto alcunché. La vicenda risale al periodo tra maggio e agosto del 2017. Martedì al Tribunale di Gorizia, davanti al giudice monocratico Gianfranco Rozze, si sono presentati tre testi del pubblico ministero, tra cui la cliente in questione, Ivana Laffranchini, residente a Moraro, costituitasi parte civile, con l’avvocato Alberto Tofful, nonché il marito maresciallo dei carabinieri Rosario Sorbello e Febo Ulderico della Torre di Valsassina che all’epoca, in qualità di maresciallo dell’Arma della Stazione di Mariano, aveva svolto una mediazione tra le parti al fine di addivenire ad una soluzione bonaria evitando il ricorso alle vie legali. Udienza tuttavia rinviata al prossimo 24 novembre, in virtù della tipologia del reato contestato, l’ex articolo 646 del Codice penale, che alla luce della modifica introdotta con la legge anticorruzione, eleva la pena prevista da 4 a 5 anni, e come tale compete al giudice togato.
Tutto era iniziato il giorno in cui, era aprile 2017, la signora Laffranchini si era rivolta all’impresa artigianale “Laboratorio orafo” di Marini, affinché venisse effettuata la valutazione del bene e, a fronte di una stima ritenuta aderente alle proprie aspettative, si provvedesse alla vendita del bracciale. A dare valore peraltro erano in particolare proprio le cinque Sterline montate sul particolare gioiello. Una valutazione quantificata sull’ordine degli oltre duemila euro. Non restava a quel punto che andare alla ricerca dell’acquirente. Vendita che, a distanza di oltre un mese, si considerava andata in porto.
I problemi s’erano affacciati nel momento in cui la cliente, non ricevendo comunicazioni di sorta circa lo sviluppo della situazione, s’era presentata al laboratorio proprio con l’intenzione di chiedere conto della vendita del monile e poter ricevere il corrispettivo in denaro dovuto. L’orafo aveva assicurato alla cliente che le avrebbe corrisposto la somma, ma posticipando la consegna a fine giugno. Niente da fare. Da qui il susseguirsi di telefonate e di messaggi da parte della donna per concordare un appuntamento, che tardava a definirsi. Tanto che la cliente s’era risolta a rivolgersi ai carabinieri. Era stata quindi tentata la conciliazione. Seguita da una sottoscrizione da parte dell’orafo nella quale si impegnava a consegnare il denaro in importi rateizzati. L’uomo aveva però versato solo un acconto di 700 euro. E questa volta è finito a processo. —
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