Ora a Trieste è transfrontaliero anche l’imam: viene da Capodistria
Transfrontaliero: un termine oggigiorno sempre più usato, a volte abusato. E allora è possibile “appiccicarlo” anche a un imam, la figura di guida spirituale di una comunità musulmana. In questo caso è Nevres Mustafic, a capo dei musulmani sloveni e riferimento, d’ora in poi, anche di quella di Trieste.
Perché Mustafic, basato a Capodistria, dopo avere saputo che anche nel capoluogo giuliano esiste una collettività islamica, ha deciso di renderle visita e d’ora in poi le “puntate” in riva al Golfo saranno periodiche. «Siamo contenti - dichiara Saleh Igbarià, presidente del Centro culturale islamico di Trieste e della Venezia Giulia Onlus - perché non potendoci permettere un imam vero e proprio, lui ne farà le veci. In fin dei conti è il religioso musulmano a noi più vicino dal punto di vista geografico».
E le barriere linguistiche non sembrano essere un problema insormontabile: se è vero che in tutto il mondo le preghiere islamiche si tengono in arabo, a Trieste ci si arrangia anche con l’italiano, il serbo-croato e l’inglese. Ce se ne rende conto appena varcata la soglia del Centro, un appartamento di via Pascoli riadattato all’uso della comunità triestina: oltre l’ingresso le grandi scarpiere e la zona dei bagni per le abluzioni rituali, poi due grandi stanze delle quali una adibita a luogo di preghiera, un cucinino e altri piccoli locali di servizio.
È la prima visita dell’imam Mustafic a Trieste, il numero di fedeli è quello delle grandi occasioni: mentre le poche donne si rintanano in una stanzetta, il capo coperto da un foulard ma senza velo, una manciata di bambini scorrazza liberamente nei locali, una settantina di uomini è allineato in diverse file davanti all’imam nella sala delle preghiere. Non sono unicamente bosniaci, tra loro alcuni dai tratti mediorientali e arabi, oltre a una manciata di giovani di colore. Tutti sono in abiti occidentali e qualcuno indossa il tipico zuccotto ricamato all’uncinetto. Solo un paio di astanti sfoggia una barba di foggia islamica, quella comunemente associata dagli occidentali all’Islam più intransigente.
Del quale però, in via Pascoli, non si avverte almeno apparentemente sentore. Al primo piano dell’edificio storico, le pareti della sala delle preghiere sono tinte di bianco, il cielo d’azzurro e le finestre sono occultate da candide tende dalla trama tradizionale.
Mustafic tiene il sermone in serbo-croato. «Ha parlato - riassumerà Igbarià alla fine del rito - dell’ottimismo che viene dalla Fede: dobbiamo preservarlo anche in questi tempi duri. Si è richiamato alla speranza che Dio invia agli uomini e a comunicare con Lui tramite la preghiera. Un messaggio quanto mai attuale: del resto, non è anche lo stesso invito pronunciato in questi giorni da Papa Francesco?». Tutti sembrano attenti - non distolti neppure quel paio di volte che, nel corso della funzione, qualcuno in barba all’avviso di spegnere i cellulari posto con tanto di simboli su una colonna della sala, fa risuonare il suo portatile - anche chi non comprende la lingua. Un ostacolo che non sembra un problema insormontabile: finite l’orazione e la preghiera collettiva sotto la guida del religioso “transfrontaliero”, la canonica “salat” e prima d’iniziare il sobrio rinfresco, preparato in onore dell’ospite giunto da Capodistria, il presidente comunica gli orari dei corsi di religione e di lingua italiana. Sarà utile per integrarsi ma anche per pregare assieme. E poi ci sono sempre i gesti. Così con l’ultimo arrivato, se non c’è possibilità di dialogare oltre al rituale saluto “assalamu aleikum” (la pace su di te) ci sono grandi sorrisi e pacche sulle spalle.
«Non ci interessa la politica quotidiana - spiega Mustafic -; pongo in primo piano i valori religiosi, come la Fede, la morale, il buon comportamento. Qui possiamo averne un buon esempio: ben 22 nazionalità in un unico centro!».
Il giovane religioso allarga le braccia: «In questi tempi di crisi, di difficoltà, ho ricordato come il credere fortifica e dà speranza. Ma questo vale per tutti i fedeli: musulmani, cattolici, ortodossi».
Non c’è tempo per approfondimenti teologici: qualcuno srotola lunghe e strette tovaglie di plastica sui tappeti delle preghiere e inizia a deporre i piatti del rinfresco, dal menù “ecumenico”. Fino a che l’imam “transfrontaliero” non si siede, non s’inizia.
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