Ondata bis di raid notturni, alberi devastati dai cinghiali

Gli ungulati non si limitano più a mangiare i frutti a terra: ora li strappano dai rami sventrando intere piante. La rabbia degli agricoltori: migliaia di euro di danni
Vincenzo Ferluga, coltivatore di alberi da frutta, mostra una delle piante nel suo terreno a Pis’cianzi letteralmente distrutte dopo una delle tante incursioni notturne dei cinghiali .
Vincenzo Ferluga, coltivatore di alberi da frutta, mostra una delle piante nel suo terreno a Pis’cianzi letteralmente distrutte dopo una delle tante incursioni notturne dei cinghiali .

Rami spezzati, campi devastati, incursioni notturne oramai continue. È guerra aperta fra gli agricoltori della zona di Pis’cianzi e i cinghiali. Un conflitto che vede prevalere questa specie animale, peraltro molto prolifica e che perciò aumenta costantemente di numero, anche perché la Regione, ente preposto in prima persona alla tutela degli operatori del settore, dopo la scomparsa delle Province, sembra tardare a dare le risposte richieste dai diretti interessati. Risposte attese sotto forma di permessi ai cosiddetti “prelievi in deroga”, in sostanza al numero di capi che possibile abbattere.

Portavoce degli agricoltori del versante situato fra Banne e Roiano, un tempo un piccolo paradiso a qualche centinaio di metri in linea d’aria dalla chiesa di piazzetta tra i Rivi, è Vincenzo Ferluga, discendente di una stirpe di coltivatori di alberi da frutta. «La situazione è oramai drammatica – spiega – perché i cinghiali entrano nei nostri terreni di notte, mangiano tutto ciò che trovano a terra, ma non solo. I maschi più robusti si piantano sulle zampe posteriori e azzannano con forza i rami finché non riescono a strapparli dalla loro sede naturale. A quel punto – precisa Ferluga – mangiano tutti i frutti appesi al ramo. Per me che vivo di questa attività – continua - il danno ha oramai superato i cinquemila euro».

La normativa prevede specifici risarcimenti per questi casi, ma le percentuali offerte siano giudicate inaccettabili dagli addetti ai lavori. «Faccio un esempio – riprende l’agricoltore di Pis’cianzi – le susine del tipo “Regina Claudia”, caratteristiche della nostra zona, io le posso vendere all’ingrosso a circa 3,5 euro al chilogrammo. Se vengono mangiate dai cinghiali, la proposta di risarcimento che mi viene offerta dalla Regione è di poco più di 50 centesimi, sempre al chilogrammo. E tutto questo – sottolinea – in un contesto di grande difficoltà di dialogo con gli uffici regionali competenti. Finché era in vita la Provincia – ricorda – il rapporto era più semplice, perché bastava recarsi a palazzo Galatti e si parlava personalmente con gli addetti. Adesso bisogna andare fino a Udine dopo aver chiesto e ottenuto appuntamento - iIl tutto ovviamente a spese nostre -, oppure dialogare per via telematica, con i risultati che, soprattutto in tempi di sportelli a singhiozzo e “lavoro a casa” dei dipendenti pubblici, si possono facilmente immaginare».

Insomma problemi su tutti i fronti, ai quali si è aggiunta l’ultima beffa, quella del mancato rinnovo del permesso per l’abbattimento. «Io sono cacciatore regolarmente iscritto e autorizzato - spiega Ferluga - e ho chiesto alla Regione di consentirmi di abbattere gli esemplari che riescono a entrare nei miei terreni, in base alle deroghe alla legge regionale numero 14 del 14 giugno del 2007. Ma mi hanno risposto che, in base ai sopralluoghi effettuati dalle loro guardie forestali – prosegue - io non avrei favorito, come previsto, l’accesso al recinto di cattura costruito nei miei terreni, agli uomini del Corpo forestale regionale. Un’affermazione non vera».

Nella lettera inviata a Ferluga dal responsabile di settore dell’Assessorato regionale alle Risorse agroalimentari, forestali e ittiche, è chiaramente scritto che «nel caso l’interessato si rendesse disponibile a riattivare il recinto di cattura, tornerebbe concreta la possibilità di attivare un ulteriore prelievo in deroga». «Finora mi sono sentito preso in giro, fra mancate o tardive risposte e un generale atteggiamento di disinteresse verso i problemi di questa zona – conclude Ferluga – perciò ho poca fiducia anche nelle promesse contenute nella lettera». —


 

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