Omicidio Tulissi, l’imprenditore Calligaris condannato a 16 anni di reclusione
MANZANO Per undici anni ha negato di essere stato lui a uccidere Tatiana Tulissi, l’impiegata di Villanova dello Judrio con cui viveva nella bella villa con parco che possiede a Manzano, e, tagliati i ponti con la sua famiglia, muto di fronte alla disperazione e alla ricerca di giustizia dei genitori e dei fratelli per un delitto apparentemente inspiegabile, ha intrapreso una nuova relazione con straordinaria velocità, sposandosi e continuando a fare affari nel mondo della viticoltura e della ristorazione.
Paolo Calligaris, 49 anni, imprenditore della dinastia dei mobilieri friulani che hanno saputo esportare il proprio marchio in tutta Italia e all’estero, mentiva. E la Procura di Udine, che lo ha sempre sospettato, non ha mai smesso di indagare su di lui. Ieri, il gup del tribunale friulano, Andrea Odoardo Comez, ne ha certificato la colpevolezza e, accolta la richiesta di condanna per omicidio volontario formulata dal pm Marco Panzeri dopo le otto ore di requisitoria discussa tre mesi fa, gli ha inflitto 16 anni di reclusione. Esattamente quanti la matematica processuale impone, in caso di celebrazione con rito abbreviato e in assenza di aggravanti.
Familiari risarciti
«Riteniamo il nostro cliente assolutamente innocente», ha affermato l’avvocato Rino Battocletti, che lo difende insieme ai colleghi Alessandro Gamberini e Cristina Salon, allontanandosi dall’aula C, dove alle 17 è stata data lettura del dispositivo. E dove l’imputato, nella giornata clou del primo round giudiziario, non c’era. «Ci riserviamo di leggere le motivazioni – ha aggiunto Battocletti –, ma fin d’ora possiamo dire che proporremo appello». Anche perché, per smontare la ricostruzione della Procura, i legali non avevano esitato a definire il processo «costruito sul nulla» e a biasimarne la scelta di «ignorare qualsiasi altra pista alternativa, a cominciare da quella della rapina».
Tutt’altra reazione nell’altra metà dell’aula, dove tra un occhio lucido e l’altro a commuoversi è stato anche l’avvocato di parte civile, Laura Luzzatto Guerrini. Nell’ordinare il risarcimento del danno ai suoi assistiti, il giudice ha previsto una provvisionale di 180 mila euro per la madre Meri Conchione e di 140 mila euro l’uno per i fratelli Marzia e Marco.
voleva liberarsi di lei
Con le amiche più strette, Tatiana si era confidata pochi giorni prima di essere uccisa. «Non mi tocca più», aveva detto, raccontando di come i rapporti con il compagno si fossero all’improvviso raffreddati. Era successo qualche mese prima, con la perdita naturale del figlio che portava in grembo. Tati aveva 36 anni e sognava di diventare mamma con l’uomo che amava. Paolo, invece, di avere altri figli non voleva proprio saperne. Ne aveva avuti già due dall’ex moglie e alla notizia dell’arrivo del nuovo erede erano stati proprio i suoi ragazzi, entrambi all’epoca minorenni, a reagire con avversione. Ecco, il movente dell’omicidio compiuto la sera dell’11 novembre 2008, sull’uscio della villa, sarebbe tutto qui. Nel bisogno di liberarsi di quella donna, verso la quale non provava più niente e che anzi considerava ormai un ostacolo alle sue scelte. Tre colpi di pistola e via, come aveva fatto già con i due cuccioli di cane di uno dei figli, perché davano noia alla nonna.
i carabinieri e il perito
Ma questa non è che la fine del racconto. Per arrivarci e, prima ancora, per “scongelare” un giallo che nel frattempo stava diventando un cold case, il pm Panzeri ha dovuto innanzitutto iscrivere nuovamente Calligaris sul registro degli indagati, dopo che quattro anni prima l’archiviazione della sua posizione pareva averne dimostrato già l’innocenza. E invece, nel 2016 l’inchiesta è ripartita con la marcia in più impressa dal pool di carabinieri incaricato del caso. Sono stati il maggiore Fabio Pasquariello e il brigadiere Edi Sanson a scandagliare da capo tutti gli elementi a disposizione, a raccoglierne di nuovi – una montagna di testimonianze – e a concentrarsi sulle incongruenze. Tante quelle emerse ogni volta in cui l’indagato veniva interrogato, con escussioni video e fono registrate, poi analizzate con tecniche investigative innovative. Decisiva, poi, la consulenza affidata all’ex comandante del Ris, Luciano Garofano, che, suggerendo una chiave di lettura nuova della scena del crimine, aveva a sua volta evidenziato difformità rispetto alla versione di Calligaris.
il procuratore
«Non ritengo confacenti all’Ufficio requirente espressioni di soddisfazione dinanzi a una condanna per omicidio volontario, che è uno dei delitti più gravi contemplati dalla legge, e prima ancora sanzionati dalla coscienza umana». Fin qui la premessa. Poi, però, per il procuratore Antonio De Nicolo è l’ora delle lodi. «Accolgo con rispetto e apprezzamento la decisione del giudice – dice –, che ha certificato la bontà dell’impegno profuso sia dagli inquirenti sia dal collega cui da ultimo è stato assegnato il procedimento e che vi si è dedicato con abnegazione, profondo acume logico-giuridico, esemplare conduzione dell’indagine e dell’udienza, con il solo obiettivo di non lasciare nulla d’intentato, per giungere alla verità». —
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