Omicidio Regeni, caccia agli ultimi filmati
ROMA. Gli ultimi movimenti di Giulio Regeni in 36 hard disk di immagini della metro del Cairo. L’obiettivo degli inquirenti è passare al setaccio quei filmati per evidenziare l’eventuale presenza, la sera prima della scomparsa del giovane, di qualcuno dei dieci agenti della National Security coinvolti nell’inchiesta legata alla sua morte. Una nuova verità sul caso Regeni potrebbe emergere dunque dai video delle telecamere della stazione di Dokki e dell’intera linea 2 della metro al Cairo dove il ricercatore friulano 28enne fu visto per l’ultima volta il 25 gennaio del 2016, prima di essere ucciso. E soprattutto finalmente potrebbe essere possibile capire se le informazioni sugli spostamenti del giovane siano state manomesse o non.
L’acquisizione dei file, a cui da ieri in Egitto sta lavorando un pool di tecnici russi, durerà due settimane. E alle operazioni sta partecipando anche il pm Sergio Colaiocco, titolare dell’indagine della Procura di Roma, arrivato ieri mattina al Cairo. Alla fine, una copia forense dei 108 terabyte delle immagini (una quantità enorme) sarà consegnata alla magistratura italiana, come promesso dal procuratore generale Ahmed Nabil Sadek in un recente colloquio telefonico con il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone. È stata la procura della capitale, nella prima rogatoria inviata da piazzale Clodio nel febbraio del 2016, a chiedere che le immagini estrapolate non riguardino solo il tratto compreso tra le stazioni Dokki, nel quartiere dove Giulio viveva e da dove fece l’ultima chiamata prima del sequestro, e El Bohoth, dove era diretto la sera della scomparsa, ma l’intero percorso della linea 2 della metro tra le 19 e le 21.
«È un giorno cruciale per le indagini sul sequestro, tortura ed omicidio di Giulio Regeni – sottolinea la legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini – Potremmo già capire se i dati siano stati manomessi, se ci troviamo di fronte a un bluff o se faremo un passo avanti».
Intanto prosegue lo sciopero della fame della madre di Giulio, Paola Defendi, che da lunedì ha intrapreso questa forma di protesta contro l’arresto per terrorismo di Amal Fathy, moglie di Mohamed Lotfy, il direttore esecutivo dell’Ong “Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf)” che assiste la famiglia Regeni al Cairo. Secondo Paola, l’arresto di Amal – rea di aver pubblicato su internet varie critiche e per questo accusata di terrorismo, col rischio della pena di morte – ha un significato preciso: «Vuol dire che siamo molto vicini alla verità».
Con lei starebbero digiunando altre 200 persone. A più di 2 anni dall’omicidio, anche se una verità ufficiale ancora non c’è, chi indaga in Italia è convinto che Giulio sia morto, dopo le torture, per gli studi che faceva, una ricerca che lo ha messo in contatto con persone che ne hanno segnato il destino.
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