Omicidio Regeni, 4 agenti egiziani verso il processo. Il testimone: «Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace»

I pm: "Giulio seviziato per giorni con lame e bastoni". Emessi quattro avvisi di chiusura delle indagini per appartenenti ai servizi segreti egiziani. Le accuse, a seconda delle posizioni, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. La mamma di Giulio: "La nostra è una lotta di civiltà"
Una manifestazione per Giulio Regeni
Una manifestazione per Giulio Regeni

ROMA La Procura di Roma ha chiuso l'inchiesta relativa alla vicenda di Giulio Regeni. I pm hanno emesso quattro avvisi di chiusura delle indagini, che precede la richiesta di processo, per appartenenti ai servizi segreti egiziani. Le accuse , a seconda delle posizioni, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Chiesta l'archiviazione per una quinta persona, sempre 007 del Cairo.

Secondo quanto emerge dall'atto di conclusione delle indagini del procuratore Michele Prestipino e del sostituto Sergio Colaiocco, Giulio Regeni è rimasto nelle mani dei suoi sequestratori per 9 terribili giorni, durante i quali il ricercatore è stato torturato ed ucciso nel gennaio del 2016.

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A quattro appartenenti della National Security, il servizio segreto egiziano, i magistrati di Roma contestano il sequestro di persona pluriaggravato in «concorso tra loro e con soggetti non ancora identificati». Nel provvedimento viene ricostruita la vicenda del ricercatore italiano. Tutto parte «dalla denuncia presentata, negli uffici della National security, da Said Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti del Cairo Ovest».

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I quattro indagati «dopo aver osservato e controllato direttamente ed indirettamente, dall'autunno 2015 - scrivono i pm - alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni, abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all'interno della metropolitana del Cairo». In base all'atto di conclusione delle indagini, Regeni venne condotto «contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly» dove venne «privato della libertà personale per nove giorni».

I magistrati scrivono che nei confronti di Regeni per «motivi abietti e futili e con crudeltà» sono state «cagionate lesioni» e «la perdita permanente di più organi». Giulio è stato seviziato «con acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni attraverso strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente». Una azione che ha causato «numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l'uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo contro superfici rigide ed anelastiche»

Intanto oggi il pm Colaiocco nel corso dell'audizione davanti alla commissione di inchiesta sulla morte del giovane ricercatore italiano ha riferito di una testimonianza raccolta dagli inquirenti: «Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace». È il racconto fornito da uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio di Giulio. «Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso - ha raccontato il testimone -. È una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c'è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C'erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro schiena aveva dei segni, anche se sono passati anni ricordo quella scena. L'ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui».

«Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi. Oggi è una tappa importante per la democrazia italiana e per l'Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civilità per i diritti umani, che è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riverbera in tutto il mondo come vengono violati i diritti umnani in Egitto ogni giorno» ha commentato alla Camera Paola Regeni, madre di Giulio.

«I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi. E questo ce lo dimostra la famiglia Regeni. Vorremo la stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa, affinché dimostrino che la giustizia non è barattabile. Questo è un punto di partenza, ci sono voluti cinque anni». ha aggiunto in conferenza stampa alla Camera l'avvocato Alessandra Ballarin, legale della famiglia Regeni. «Sono passati due anni dalle dichiarazioni del governo, in cui si chiedevano impegni, conseguenze e responsabilità, e non abbiamo capito ancora a quali il governo si riferisse. Chiediamo di richiamare immediatamente l'ambasciatore per consultazioni in Italia. Da quando è stato reiniviato l'ambasciatore non sono stati fatti passi in avanti, anzi c'è stata recrudescenza. Bisogna dichiarare l'Egitto "Paese non sicuro" e bloccare la vendita di armi» ha continuato.

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