«Omicidio Novacco, uguali responsabilità per gli assassini»

Le motivazioni dell’ergastolo a Console e Cavalli: se uno dei due lo avesse voluto avrebbe potuto intervenire a favore di Giovanni
Foto Bruni 18.02.13 Processo Novacco:Cavalli dopo la sentenza
Foto Bruni 18.02.13 Processo Novacco:Cavalli dopo la sentenza

Giuseppe Console e Alessandro “Tex” Cavalli hanno la stessa identica responsabilità nell’efferato omicidio di Giovanni Novacco, consumato nell’agosto del 2011 in uno stabile Ater abbandonato di via Gemona. Lo scrive a chiare lettere il giudice Guido Patriarchi che nei giorni scorsi ha depositato le motivazioni della condanna all’ergastolo pronunciata lo scorso febbraio. Nessuna differenza di responsabilità proprio come «correttamente - scrive Patriarchi - ha osservato il pm De Bortoli nella sua requisitoria».

In pratica il giudice rileva che «se uno dei due avesse avuto da eccepire qualcosa o avesse inteso dissociarsi da iniziative dell’altro, avrebbe avuto sicuramente l’opportunità di farlo in più occasioni nel corso dell’”iter” criminoso; avrebbe così potuto impedire la somministrazione delle pastiglie di Seroquel per stordire Novacco e fiaccarne la reazione, sottrarre all’altro il coltello quando i colpi venivano reiterati e non erano più superficiali, ma venivano portati in parti vitali, opporsi all’acquisto della benzina (comprata con denaro di Cavalli) o impedire che essa venisse versata sul corpo della vittima per bruciarlo, evitare di legare e imbavagliare Novacco (...) ancora vivo, e di chiudere l’appartamento per consentirgli una sia pur remota possibilità di fuga e sopravvivenza, chiedere l’immediato intervento di un’ambulanza anche con una telefonata anonima nell’estremo tentativo di evitarne la morte».

Insomma stessa responsabilità e stessa condanna all’ergastolo anche perché, così scrive il giudice Patriarchi, «il comportamento tenuto durante la commissione del reato denota chiaramente la sussistenza della volontà omicida». Una volontà chiara e inconfutabile nonostante, per Cavalli, la menomazione fisica che però «non gli ha impedito di iniziare e portare a compimento azioni finalizzate alla produzione di lesioni da strumenti da taglio utilizzando unicamente l’arto superiore destro» con il quale, così si legge, «ha acquisito nel tempo una capacità e un’abilità con cui è riuscito a supplire alle difficoltà di certe funzioni altrimenti impossibili da realizzare».

Ma c’è di più. Riguardo al movente, o meglio al ruolo della banda di Roiano capeggiata da Giuseppe Console - che era appena stato lasciato dalla ex moglie, Micaela Nordio - il giudice Patriarchi scrive: «La “punizione” da infliggere al mite e ingenuo Novacco era anche un monito, un segnale forte alla ribelle Nordio che nei giorni precedenti aveva inviato su Facebook un primo messaggio, chiaramente indirizzato a Console, in cui faceva riferimento a una denuncia da lei presentata nei confronti di una “merda” di Roiano per aver rotto il vetro della vettura del padre...».

Quanto alla crudeltà (Novacco era stato torturato e bruciato nella casa dell’orore di via Gemona), osserva ancora il giudice Patriarchi: «Ricorre quando le modalità della condotta rendono obiettivamente evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze che esulano dal normale proceso di causa-azione dell’evento e costituiscono un “quid pluris” rispetto all’attività necessaria ai fini della consumazione del reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità dei patimenti cagionati alla vittima con un’azione efferata rivelatrice di un’indole malvagia».

Infine un cenno del giudice Patriarchi anche alla capacità di intendere e di volere. «Nei comportamenti dei due vi era un programma, una progettualità, una consequenzialità logica», si legge.

I difensori Maria Genovese (per Alessando Tex Cavalli) e Paolo Bevilacqua (per Giuseppe Console) hanno annunciato il ricorso in Appello contro la sentenza.

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