Omicidio Migena, 20 anni al marito Dritan
GRADISCA Dritan Sulollari, 37 anni, è stato condannato alla pena di 20 anni per la morte della moglie, la trentenne Migena Kellezi, uccisa la mattina dell’8 novembre 2017 nel loro appartamento di via della Campagnola, a Gradisca. Il giudice del Tribunale di Gorizia, Carlo Isidoro Colombo, ieri ha pronunciato la sentenza poco prima delle 17. Vent’anni, dunque, per i quali non è stata riconosciuta l’aggravante dei motivi abbietti, che rappresentava il discrimine ai fini della massima pena prevista dal rito abbreviato dei 30 anni, l’equivalenza dell’ergastolo. Il giudice ha invece accolto le aggravanti in ordine alla presenza del minore e al rapporto di coniugio, che lega moglie e marito. Sotto il profilo civile, il giudice ha stabilito una provvisionale di 70 mila euro per ciascun genitore della vittima, e 50 mila euro per la sorella, nonchè 250 mila euro per il minore, figlio della coppia. Il procedimento s’era concluso alle 12.30, poi il ritiro del giudice in Camera di consiglio.
L’udienza, iniziata alle 9.30, ha lasciato spazio all’arringa della difesa, rappresentata dall’avvocato Paolo Bevilacqua. Un intervento durato un paio d’ore. Sono seguite le repliche del pubblico ministero Laura Collini e dell’avvocato Elisa Moratti, che rappresenta il minore. L’avvocato Bevilacqua ha affrontato un’arringa «molto sofferta». S’è addentrato nel vissuto travagliato del 37enne e nel rapporto sentimentale della coppia, altrettanto tormentato, passionale, toccando soprattutto gli aspetti umani. «Quando si uccide qualcuno, si uccide in parte anche se stessi», ha sottolineato insistendo sull’insussistenza dei motivi abbietti. Per il legale, non è stata la crudeltà a spingere Dritan fino al punto di non ritorno, ma la sofferenza di un uomo «provato da una vita difficile». Il difensore ha sostenuto una serie di attenuanti generiche all’insegna di una pena «congrua, ma contenuta». Il pm ha replicato punto su punto nel ribadire sostanzialmente la sussistenza di tutte le aggravanti, ponendo con altrettanta forza l’accento sui motivi abbietti. L’avvocato Moratti s’è soffermata sul minore: il bambino sarebbe stato presente almeno per parte dell’aggressione omicida, facendo riferimento all’esame del piccolo. Il legale ha sostenuto la gravità comunque della semplice percezione di quanto stesse accadendo in casa, nel ritenere sussistente la specifica aggravante.
L’avvocato Bevilacqua ha argomentato: «Il mio assistito ha trovato giustizia nella sentenza pronunciata dal giudice, che ha tenuto conto dell’aspetto umano. Ho sempre creduto che il riconoscimento di una possibilità in più avrebbe rappresentato l’espressione proprio dell’elemento umano che ha permeato tutta questa drammatica vicenda». Dai legali di parte civile parole ponderate. Gli avvocati Alberto Tarlao e Fabrizio Carducci, che sostengono rispettivamente la mamma e la sorella, nonchè il padre di Migena, hanno osservato: «La pena dei 20 anni era una delle alternative, in base al riconoscimento dell’aggravante circa i motivi abbietti per i quali eravamo convinti. Rappresenta comunque il massimo della pena che si poteva stabilire. Valuteremo se presentare istanza di impugnazione alla Procura».—
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