Oleotto: «Un altro film in regione»

Dopo il successo di “Zoran” il regista pensa alla nuova opera: «Per adesso ci sono luoghi e persone che mi incuriosiscono»
Di Beatrice Fiorentino

TRIESTE. In fondo sono passati solo poco più di sei mesi dall’esplosione del caso “Zoran”, il film che ha permesso al regista goriziano Matteo Oleotto di conquistare, al primo colpo, il pubblico di mezzo mondo. Prima il successo al Festival di Venezia, dove ha vinto a furor di popolo il premio della Settimana della critica, poi l’uscita in sala in nove paesi stranieri e un tour promozionale che lo ha portato finora a raccogliere quindici premi in trenta festival, sbarcando nelle prossime settimane anche nelle città di Londra, Mosca, Sofia, Praga e Pechino. Molte cose sono cambiate, ma Oleotto vuole restare coi piedi per terra e guardare al futuro senza montarsi la testa. In queste settimane è impegnatissimo: accompagna il suo film in lungo e in largo, partecipa al festival “Cortinametraggio” in veste di giurato, e trova anche il tempo per un intermezzo culinario come testimonial del “Visio Chef”, appuntamento con la cucina asiatica firmato “Far East Film Festival” durante il quale il regista si è cimentato nella preparazione del sushi.

È un periodo vissuto on-the-road, con “Zoran” ancora nella mente, eppure aperto a nuove idee per il prossimo film. Chiacchierando con lui viene in mente un altro Matteo, Garrone, che dopo il successo planetario di “Gomorra”, pur avendo una filmografia non trascurabile alle spalle, si interrogava sulla strada che avrebbe dovuto intraprendere per non “fallire” o venir schiacciato dal confronto. «Certo che sento la pressione del secondo film - ammette il regista - ma rispetto alle aspettative del pubblico mi sento in pace, il problema è piuttosto riuscire a trovare una storia potente che soddisfi me. Ciò di cui sono profondamente convinto è che non voglio fare un film tanto per farlo. Preferisco continuare a fare cinema credendo nelle storie che racconto». Oltre all’autenticità che trasmette, il successo di “Zoran” è legato anche al territorio in cui è ambientato e Matteo ne è consapevole. «Vorrei continuare a girare in regione - dice - e raccontare ciò che conosco, possibilmente con le persone che per prime hanno creduto in me: Igor Princic, Federico Poillucci e Paolo Vidali. È sempre qui che stiamo facendo le prime indagini per il prossimo film». Ancora nulla di concreto: «Per adesso ci sono solo dei luoghi che mi incuriosiscono e in cui le persone che ci vivono hanno delle cose da tirare fuori». Affiora anche il ricordo di Carlo Mazzacurati, unanimemente identificato nel ruolo di “cantore del Nord-Est”, per chiedere a Matteo se crede che potrebbe trovarsi a suo agio nella simile veste di “bluesman dell’Alto Friuli”. «Lo consideravo un maestro - risponde - lo sentivo vicino sia per le storie che raccontava, che per la sua idea di cinema. Non era un autore locale, semplicemente raccontava le storie di casa sua. Piacerebbe anche a me». E a questo proposito confida un aneddoto che risale al suo ultimo anno di studi al Centro sperimentale di Roma, nel 2004, quando portò un suo soggetto a Rai Cinema come tutti gli allievi registi a fine corso: «Dopo averlo letto – racconta – mi dissero che di Carlo Mazzacurati in Italia ce n’era già uno. Da quel giorno ho seguito sempre il suo lavoro, ho visto i suoi film, leggevo ciò che si scriveva su di lui. Mi dispiace solo di non averlo mai incontrato».

Tra i meriti di Oleotto c’è quello (fondamentale) di aver dimostrato che oltre ai “cinepanettoni” e alla comicità farsesca e sguaiata, esistono anche altri modi per ridere, persino in Italia. Restare legato alla commedia e magari rinnovare il genere, lo spaventa? «Anzi. Vorrei restituire dignità alla parola commedia, perfino mescolando i generi. Sarà che sono uomo di confine ma tutto quello che è misto e bastardo mi è congeniale».

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