Ogni sera in cento cercano un tetto
Se date a un elefante, a una scimmia e a un pesce rosso le identiche possibilità, per esempio concedete a tutti e tre il diritto di saltare in cima a un albero, avrete fatto una cosa iniqua ammantata di intenzioni eque. A Trieste il sistema sanitario e quello assistenziale cominciano a vedere l’opacità della “macchina”, la ridondanza di progetti e protocolli che vincolano i professionisti e non raggiungono a sufficienza i cittadini. Fra i quali ogni sera ve ne sono non meno di 100 che cercano un tetto sotto il quale dormire. Più in generale viene definito «clamoroso» il conflitto tra Azienda sanitaria e ospedaliera, e addirittura si usano parole drammatiche per la situazione dei bambini: «La genitorialità è in crisi, e i servizi agiscono ciascuno per conto suo: i bambini aiutati, se allo stesso tempo non si aiuta il genitore, diventano in realtà delle vittime».
Con tutti gli sforzi e le declaratorie di questi anni sui processi di integrazione dei servizi sanitari e sociali, adesso vien fuori questo: a Trieste, pure avanzatissima nelle sue politiche di assistenza, lavorano «tre o quattro cattedrali diverse» che si parlano ancora troppo poco, il Comune, l’Azienda sanitaria, l’ospedale. C’è da rimpicciolire le cattedrali e fare un “monumento” alla persona, della quale mettersi a servizio insieme in un percorso ragionato e ordinato. Destinando diversamente le risorse (non meramente “per prestazione”) e soprattutto misurando alla fine i risultati di salute, e non solo i costi. Aggredendo anche le iperspecializzazioni eccessive («l’ambulatorio del brufolo della guancia destra e l’ambulatorio del brufolo della guancia sinistra...»).
Assieme alla constatazione che a Trieste per i bambini e minorenni in generale (dove s’è visto un raddoppio degli stranieri dal 6 al 13% del totale in 10 anni) non si pensa con progetti adeguatamente forti, è questa la principale delle tante autocritiche che le istituzioni hanno fatto ieri all’auditorium del Museo Revoltella per la seconda parte della Prima conferenza sulla salute della città organizzata dall’assessorato alle Politiche sociali e aperta dal neoassessore regionale alla Salute Maria Sandra Telesca (destinataria di molti suggerimenti), e dall’assessore Laura Famulari.
Pregevoli notizie, e molte cose finalmente dette “pane al pane” (unico modo per non cedere al conservatorismo) da parte di Mauro Silla, direttore dell’Area Promozione e protezione sociale del Comune, Marco Braida, responsabile della Programmazione strategica dell’Azienda sanitaria, Ambra De Candido, direttore del Servizio comunale domiciliarità e della sue colleghe Licia Barbetta e Anna Galopin (minori e anziani), da Fabio Samani, direttore dell’Ass1, Maria Grazia Cogliati a capo del secondo distretto sanitario e molti altri.
Forse per la prima volta in luce il mondo “tacitato” dei giovanissimi, sopravanzati a Trieste dall’emergenza anziani. In Italia 1,9 milioni di bambini sono a rischio povertà («peggio di noi in Europa solo la Romania» ha segnalato Barbetta). A Trieste diminuiscono gli “affidi” a tempo pieno (da 60 a 55 tra 2009 e 2012), crescono quelli “leggeri” (da 84 a 155), la crescita degli stranieri più che raddoppiati tra 2003 e 2012 non è abbastanza seguita ma soprattutto, come ha raccontato Silla, anche in quest’isola apparentemente felice qualcosa di brutto sta succedendo: «Aumentano bullismo e vandalismi, perché si affievolisce il ruolo educativo della famiglia. La famiglia delega tutto alle istituzioni e si disinteressa del figlio, salvo scattare in sua difesa chiamando anche l’avvocato quando l’istituzione mette semplicemente in atto quell’educazione che era fino a quel punto mancata».
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