Offende Mattarella dandogli del «mafioso» sui social, triestino condannato

Otto mesi di pena al settantenne Rodolfo Rosada: «Mi dispiace, il mio era uno sfogo, ho fatto una cretinata»

Gianpaolo Sarti

TRIESTE. Otto mesi con la condizionale, come richiesto dal pubblico ministero Pietro Montrone. Il gup Luigi Dainotti ha condannato il settantenne triestino Rodolfo Rosada, pensionato e maestro di karate, autore di una frase ingiuriosa nei confronti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La condanna arriva proprio nei giorni dell’elezione del Capo dello Stato.

L’8 maggio del 2018 il settantenne aveva offeso il Presidente della Repubblica dandogli del «mafioso» in un commento pubblicato su Facebook. Parole gravi, tanto più se si considera che il fratello del Capo dello Stato, Piersanti Mattarella, nel 1980 era stato assassinato per mano di Cosa Nostra. All’epoca dei fatti Piersanti Mattarella era presidente della Regione Sicilia.

Rosada, difeso dall’avvocato di fiducia Francesca Castelletti del Foro di Trieste, ha dovuto rispondere del reato di “offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica”, regolamentato dall’articolo 278 del codice penale. L’imputato è stato giudicato nei giorni scorsi dal gup Dainotti con il rito abbreviato.

«È stato uno sfogo, uno sfogo stupido, anzi una cretinata di cui mi scuso», afferma il settantenne. «Avevo commentato il fatto che Mattarella in quel periodo non aveva nominato Salvini presidente del Consiglio. Ripeto, ho commesso una stupidaggine e mi dispiace. Anche perché personalmente io mi definisco un patriota e nutro profondo rispetto per tutto ciò che ha a che fare con la Patria: la bandiera e le istituzioni, compresa quindi la figura del Presidente della Repubblica. Tra l’altro ho scoperto soltanto dopo che il fratello del Capo dello Stato, Piersanti Mattarella, era stato ucciso dalla mafia. E che l’aver scritto “mafioso” era stato interpretato anche in riferimento a ciò. Mi dispiace».

La Procura di Trieste, come da normativa in materia, ha avviato l’indagine a carico del settantenne (e la successiva richiesta di rinvio a giudizio) dopo aver ricevuto l’autorizzazione a procedere dal ministro della Giustizia.

Per il giudice Luigi Dainotti si tratta del primo caso di questo tipo in oltre trent’anni di carriera nella magistratura. —

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