«Nuovo Molo VII, lavori entro due anni»

L’annuncio del presidente di Italia Marittima Maneschi al convegno con Serracchiani su opere pubbliche e corruzione
Un'immagine del molo Settimo
Un'immagine del molo Settimo

«Sono convinto che entro due anni riusciremo a partire con i lavori di allargamento del Molo VII». Lo ha annunciato Pierluigi Maneschi, presidente di Italia Marittima, nel corso del dibattito organizzato da “Il Piccolo” all’hotel Savoia sulle grandi opere pubbliche e sulla corruzione del sistema Italia. «Il problema è che manca ancora l’approvazione del Piano Regolatore e non c’è la volontà di arrivare ad una soluzione: di mezzo c’è la questione del rigassificatore che prima andava bene e poi è stato bocciato dalla città. Si tratta di capire se Trieste vuole andare avanti e per fare questo bisogna abbattere tutto ciò che danneggia l’attività produttiva» ha aggiunto Maneschi. E ancora: «In 25 anni in Porto Vecchio sono passati architetti di fama mondiale e una serie di “benefattori”, eppure è ancora tutto fermo. Il problema è che i politici cambiano ma le amministrazioni sono eterne».

Nel corso del dibattito, intitolato “Corruzione a norma di legge” e moderato dal direttore de “Il Piccolo” Paolo Possamai, si è parlato di tangenti, malaffari e leggi violate. In una parola la corruzione del sistema Italia esplosa nei due casi eclatanti degli ultimi mesi: il Mose di Venezia e l’Expò di Milano. Un sistema malato e corrotto che si ferma a questi due esempi poco edificanti o che ha ramificazioni ben più profonde che coinvolgono anche il nostro territorio? «È difficile pensare che queste cose siano accadute solo in quelle determinate situazioni» ha affermato Debora Serracchiani. E ha aggiunto: «Non c’è solo la violazione delle regole ma anche la costruzione di certe regole che consentono questo tipo di azioni. Essere commissario della terza corsia dell’A4 non è gratificante, ma al contrario certifica quello che è stato il fallimento della politica: basti pensare che non ho mai visto i verbali di chi mi ha preceduto sui lavori della terza corsia e questo è un fatto inconcepibile. Le grandi opere non sono inutili ma lo diventano se vengono fatte in un certo modo».

La questione si è poi spostata sugli investimenti dei privati. «Se vogliamo che ci siano gli investimenti privati nelle opere pubbliche le concessioni devono essere prolungate nel tempo ma - ha aggiunto Serracchiani - dobbiamo imparare a rammendare l’esistente e questo vale anche per la Tav: non sono contraria all’alta velocità, ma per il tratto tra Trieste e Venezia non ci sono i finanziamenti. Il territorio regionale non può però rimanere isolato: ecco che allora con una serie di interventi tecnologici e una spesa contenuta, sono convinta che nel 2017, da Trieste si potrà raggiungere Milano in tre ore e Venezia in un’ora».

Il tema della corruzione a norma di legge è stato sviluppato nel libro scritto a quattro mani da Francesco Giavazzi, docente di economia alla Bocconi di Milano, e dal giornalista Giorgio Barbieri. «Le grandi opere le sappiamo fare, ma il problema subentra quando vengono realizzate in Italia - ha dichiarato Giavazzi -. Il sistema non funziona a causa della scarsa concorrenza che allunga i tempi e fa lievitare i costi delle opere. E poi le decisioni vengono spostate sempre più in là, molto vicine alla scadenza finale e questo permette di aggirare più facilmente regole e controlli. Per ultimo il fatto che spesso le figure dell’advisor e del finanziatore coincidono e chi deve controllare i lavori non è di fatto indipendente».

Un groviglio di leggi che non mettono al riparo dai fenomeni di corruzione ed anzi diventano un ostacolo di tipo burocratico. «Il vero problema è che ci troviamo di fronte ad un ammasso di normative che creano intasamenti, mentre mancano delle leggi che possano fungere da deterrente per il sistema di corruzione - ha osservato Barbieri -. Se pensiamo a quello che è accaduto a Venezia ci accorgiamo che c’è stato un ente che ha allungato i suoi tentacoli come una piovra riuscendo ad entrare fino alle stanze dei ministeri romani. Da una statistica dello scorso anno sulla popolazione carceraria è emerso che su 60 mila detenuti, solo un centinaio era rinchiuso per concussione, peculato o abuso d'ufficio: segno che in Italia sembra proprio che non esista questo tipo di reati».
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