Nuovo inquilino alla Casa Bianca: americani divisi

Paese spaccato su guerra, sanità, immigrati Trump provoca. Rischio Obama per la Clinton
Hillary Clinton
Hillary Clinton

ROMA Quando si parla dell’America 2016 inevitabilmente si finisce per discutere delle provocazioni di Donald Trump, dei repubblicani divisi, delle (troppe) certezze di Hillary e della Clinton-Machine. Quasi che già dal prossimo mese di febbraio, con l’avvio delle primarie, la superpotenza mondiale sia pronta a cambiare: abbandonando la strada - segnata da qualche indecisione, timore e compromesso di troppo - con cui Barack Obama ha guidato gli Stati Uniti per sette, lunghi, anni.

La realtà è un po’ diversa. Sarà pure vero (come vuole la tradizione, anche lessicale) che gli ultimi mesi di un presidente al secondo mandato sono quelli di un “anatra zoppa”. Ma prima che il prossimo presidente - sia essa una donna (con tutti i significati simbolici che comporta) o un outsider miliardario e politicamente scorretto - entri con pieni poteri alla Casa Bianca dovrà passare ancora un intero anno. E in un anno, gli insegnamenti della storia sono molteplici, possono cambiare molte cose, si possono prendere molte decisioni, si possono commettere diversi errori.

Sarà forse per questo che Barack Obama - che sette anni fa ha preso possesso dello Studio Ovale sull’onda della speranza in uno storico cambiamento - ha sentito più volte negli ultimi tempi la necessità di fare qualche precisazione e di togliersi al contempo qualche sassolino dalle scarpe. Ecco dunque, in risposta alle critiche sempre più aperte che sul suo operato arrivano anche dal campo democratico (Hillary compresa), che il presidente a pochi giorni dal nuovo (e suo ultimo) anno rivendica i successi della Obama’s America.

Barack Obama
Barack Obama

La leadership degli Stati Uniti nel 2015 “ha funzionato”. Chiede e ripete (con un certo orgoglio) che i meriti della sua Casa Bianca vengano ricordati e li rivendica tutti: dall’accordo “globale” sul clima che «salverà il futuro del nostro pianeta» a quello con gli ayatollah di Teheran che «impedirà all’Iran» di avere l’arma atomica. Inserendo nell’elenco di “successi” anche il trattato commerciale trans-pacifico e (un po’ curiosamente) la “sconfitta totale” del virus Ebola.

Tutto successo «grazie alla nostra leadership», insiste, quasi a voler convincere i critici, gli avversari interni e i nemici in giro per il mondo. Aggiungendo per chi contesta l’insieme della sua politica estera - in primo luogo il flop in Siria e la nascita dello Stato Islamico - una frase rivelatrice: «È grazie alla forza e all’eccezionalità dell’America, non al fatto di andare in giro a bombardare qualcuno».

Poi una promessa. Nell’ultimo anno di permanenza alla Casa Bianca il presidente Usa è pronto a «portare a termine» tutto quello che è stato lasciato a metà strada o che «abbiamo iniziato a fare nell’ultimo trimestre» (del 2015). Un vero e proprio ammonimento al Congresso a maggioranza repubblicana (ma il messaggio è implicitamente anche per Hillary al cui fianco, in vista delle primarie, c’è ora anche il marito Bill) a non illudersi troppo di poter condizionare con i temi della campagna elettorale l’azione della sua presidenza. Questa la posizione e le intenzioni di Obama. Si tratta di vedere se e come il presidente americano riuscirà a non farsi condizionare da una battaglia elettorale che si profila molto accesa.

Donald Trump
Donald Trump

Dapprima nelle primarie repubblicane che rischiano di finire solo alla Convention di luglio. Perché se per allora il “populista” (e inviso ai vertici del Grand Old Party) Trump sarà ancora in corsa - e ad oggi i sondaggi dicono che lo sarà - l’America sarà inevitabilmente percorsa da una ventata anti-Washington (intesa come palazzi e politici della capitale) destinata a dividere ancora di più un paese che su alcune grandi scelte (immigrazione, terrorismo, guerra, clima, sanità) è già molto diviso.

Obama potrebbe poi trovarsi in grande difficoltà nella vera e decisiva campagna elettorale, quella che dopo le Convention di luglio vedrà il candidato democratico (al 99 per cento Hillary) battersi giorno dopo giorno con quello repubblicano. Perché a quel punto inizierebbe davvero ad essere una “anatra zoppa”, soprattutto se - come gli attuali sondaggi indicano - Hillary restasse in vantaggio sul suo concorrente.

Il partito democratico non è rimasto alla Casa Bianca per tre mandati consecutivi dai tempi di Franklin Delano Roosevelt e del suo New Deal, se Obama per portare fino in fondo il suo programma dovesse entrare (cosa possibile) in rotta di collisione con il suo ex Segretario di Stato mettendone a rischio la vittoria il partito e gli stessi elettori democratici non glielo perdonerebbero mai.

Sarà molto diversa l’America del dopo-Obama? Questa è praticamente una certezza. Nel caso di una vittoria repubblicana - sia che a prevalere fosse Donald Trump, sia che fossero Ted Cruz o Marco Rubio - l’approccio alla guerra al terrorismo e all’immigrazione (tanto per fermarci a due temi scottanti) sarebbe l’opposto di quello dell’attuale presidente.

Anche se alla presidenza dovesse arrivare Hillary l’America è destinata a cambiare.A parte il considerevole impatto di una “prima donna” alla Casa Bianca (che però arriva dopo il “primo nero”) l’ex First Lady - che deve ancora regolare i conti della sconfitta del 2008 - farà di tutto per far dimenticare al più presto Obama.

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