Nuovo comparto unico: Roma stoppa la Regione

Il governo impugna la legge del 2016: «Violate norme costituzionali». Clausole su dirigenti esterni e “patto generazionale” i punti contestati
Silvano Trieste 26/04/2016 Piazza dell'Unita', il Palazzo della Regione e i tornelli all'interno
Silvano Trieste 26/04/2016 Piazza dell'Unita', il Palazzo della Regione e i tornelli all'interno

UDINE. Il governo Gentiloni impugna la legge regionale sul comparto unico. Due i punti contestati: la risoluzione del rapporto di lavoro con i dirigenti esterni in caso di default dell’ente amministrato; e l’istituto della “staffetta generazionale”, ovvero la possibilità di assumere giovani armonizzando i nuovi contratti a tempo indeterminato con una riduzione delle ore lavorative dei dipendenti più vicini al pensionamento.

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La Regione Fvg, si legge nella relazione del dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie, viola norme costituzionali all’articolo 12, comma 6, e all’articolo 21 della Lr 18/2016, “Disposizioni in materia di sistema integrato del pubblico impiego regionale e locale”.

La prima contestazione riguarda una materia che incide sull’ordinamento civile, in violazione delle prerogative statali tutelate dall’articolo 117 della Costituzione. Al comma 6 dell’articolo 12 della 18 si prevede che, in presenza di incarichi dirigenziali (contrattualizzati a tempo determinato) conferiti a dirigenti non inseriti nel ruolo, vale a dire extra dotazione organica, «le amministrazioni definiscono gli elementi negoziali dei contratti, comprese le clausole di risoluzione».

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Ma c’è di più: «Il contratto è in ogni caso risolto di diritto nel caso in cui l’amministrazione che ha conferito l’incarico dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie». Secondo il governo quel comma «interferisce direttamente con la materia - di competenza esclusiva statale - dell’ordinamento civile». Ed è pertanto «illegittimo».

Il dipartimento precisa infatti che trattandosi di un meccanismo che opera “ipso iure” sul contratto con cui è conferito l’incarico dirigenziale in ragione di un fatto (il dissesto finanziario) non imputabile al contraente privato, «la relativa disciplina non può che essere uniforme sul territorio nazionale, così come già affermato dalla Corte costituzionale». In sostanza, il fatto che un ente vada in default non può essere considerato giusta causa di risoluzione del contratto.

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Il secondo passaggio della legge regionale impugnato riguarda un istituto che la giunta, con l’assessore Paolo Panontin, aveva valorizzato come valore aggiunto della riforma del pubblico impiego regionale. All’articolo 21 - “Norme per favorire l’inserimento lavorativo (patto generazionale)” - si prevede la possibilità di concedere, negli ultimi tre anni di servizio del personale in procinto di essere collocato a riposo e su domanda del dipendente, la riduzione da un minimo del 35% a un massimo del 70% dell’orario di lavoro a tempo pieno; contestualmente l’amministrazione di appartenenza provvede, per tale personale e per il corrispondente periodo, al versamento dei contributi di previdenza e quiescenza riferiti al rapporto di lavoro a tempo pieno.

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Roma, nella contestazione, osserva che la disposizione regionale «da un lato interviene sulla disciplina previdenziale prevedendo un istituto di contribuzione figurativa non di competenza regionale e non previsto dall’attuale disciplina nazionale» e, dall’altro, «comporta effetti negativi per la finanza pubblica non quantificati né coperti» per la sostituzione di entrate da soggetti esterni alla pubblica amministrazione (lavoratore) con trasferimenti tra soggetti interni alla Pa non compensati da assunzioni part-time che necessariamente, per garantire l’equilibrio del bilancio regionale, devono riferirsi a un monte salariale inferiore».

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La conclusione ministeriale è che l’articolo 21 «si pone in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione, che riserva la previdenza sociale alla competenza esclusiva dello Stato, e con l’articolo 81, comportando maggiori oneri non quantificati e non coperti».

Nell’attesa di un confronto con l’assessore Panontin, i sindacati non sono troppo sorpresi. «Sul prepensionamento avevamo già evidenziato perplessità, emerse quando analoga norma non era andata a buon fine in Trentino Alto Adige», osserva Mafalda Ferletti (Cgil Fp). «È stato un tentativo purtroppo non riuscito, il Trentino insegna», dice pure Massimo Bevilacqua (Cisl Fp). «Verificheremo nei prossimi giorni se sarà possibile porre rimedio a entrambe le contestazioni», commenta infine Maurizio Burlo (Uil Fpl).

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