Nuovo catasto, tasse in salita “Rischiano” le case più grandi

Via all’iter della riforma (in vigore tra 5 anni).
Le future rendite per Tasi e Imu verso l’impennata
Un'immagine delle Rive di Trieste
Un'immagine delle Rive di Trieste

di Piero Rauber

Può essere, lo scopo di una certa “azione”, nobile e venale insieme? A dar credito ai principi della riforma del catasto (entrerà in vigore grosso modo fra cinque anni ma il cui iter attuativo è partito lunedì col decreto legislativo che riesuma le commissioni censuarie provinciali, chiamate ad “attualizzare” i parametri fiscali degli immobili) c’è da crederci.

Sì perché, accanto alla volontà del governo di rendere più semplici ed eque proprio le basi di calcolo delle tasse immobiliari (oggi ostaggio di vere e proprie ingiustizie là dove, per dirne una, a Trieste una casa d’epoca da 150 metri quadrati e più di 200mila euro di valore di mercato può essere soggetta a uguale base imponibile Tasi di un’altra popolare da 60 metri quadrati e meno di 100mila euro di valore di mercato per il fatto che il numero dei loro vani coincide) appare da subito probabile l’eventualità che da queste stesse basi di calcolo, una volta riviste, possano venir fuori tasse più alte per tutti.


La “realtà” triestina, al caso, non farebbe eccezione. Esiste, ad esempio, una nuova simulazione pubblicata martedì dal Sole 24 ore che prefigura nella nostra città (per un’abitazione-tipo di 91 metri quadrati in categoria A3 “media”, di non più di vent’anni, in una zona semicentrale) un aumento della rendita catastale di quasi il 560%. La rendita attuale (che si fonda su parametri di fine anni Ottanta in scia a un impianto normativo fatto sotto Mussolini) corrisponde per quest’abitazione-tipo a 646 euro. Essa oggi costituisce il punto di partenza del calcolo del valore imponibile immobiliare che si ottiene aggiungendoci un 5% e moltiplicando poi il tutto per 160. Risultato: 108.528 euro. A Trieste, di questi tempi, con le disposizioni votate dal Consiglio comunale in estate, il proprietario di tale casa (consideriamola per semplicità prima casa, in cui non vivono figli a carico) di Tasi paga il 3,3 per mille dell’imponibile meno 30 euro di detrazione secca, quindi 328 euro.
La nuova rendita catastale applicata alla stessa abitazione-tipo dovrebbe salire, con la riforma del catasto, da 646 a 4.259 euro: effetto dell’ancoraggio della rendita al valore locativo meno un 35% per presunte spese di manutenzione a carico della proprietà, ovvero al totale (poi detratto del 35%) di quanto spenderebbe in un anno a prezzi di mercato, per viverci in affitto, un eventuale inquilino.

È, d’altronde, una delle finalità dichiarate della riforma: quella cioè di allineare ai valori di mercato le tasse immobiliari. Assegnare una rendita catastale di 4.259 euro a un’abitazione equivale insomma, secondo la riforma, ad attribuirle un canone d’affitto di 546 euro al mese. Per puro esercizio teorico, potremmo arrivare a dire che se quei 4.259 euro di rendita continuassero a rappresentare il punto di partenza del conteggio dell’imponibile immobiliare col moltiplicatore attuale (cioè rendita più il 5% volte 160) e se per ipotesi sciagurata l’aliquota e la relativa detrazione rimanessero le stesse di oggi (il 3,3 per mille meno 30 euro) allora di Tasi per quella prima casa si arriverebbero a sborsare 2.331 euro, contro i 328 odierni. Il confronto proposto è una provocazione, per mettere sull’attenti chi ritiene che a un 560% di aumento di rendita potrebbe corrispondere, o per lo meno avvicinarsi, un analogo incremento della tassa finale.


La delega fiscale infatti richiama il principio dell’invarianza del gettito, ovvero il divieto ai comuni di incassare complessivamente di più grazie alle rendite catastali nuove. Certo è da vedere come saranno scritti i decreti attuativi in materia, però è presumibile che, per calcolare ad esempio la Tasi, o come si chiamerà fra cinque anni l’imposta sull’abitazione principale, lo Stato cambierà per legge i dettami su basi imponibili e moltiplicatori e i range delle aliquote entro cui gli enti si potranno muovere, per fare in modo che alla fine l’entità della tassa sia più o meno quella di prima. Più “più” che “meno”, come minimo per le abitazioni dalle grandi metrature e dal numero di vani contenuto, che perderanno il vantaggio delle attuali sperequazioni. Questo, almeno, è ciò che prospetta l’alba della riforma. Alla faccia, per ora, della semplificazione.
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