Nozze e adozioni gay, la Slovenia dice no
LUBIANA La Slovenia ha detto no alla legge varata lo scorso marzo dal governo di centrosinistra guidato dal premier Miro Cerar che in tema di diritto di famiglia ammetteva i matrimoni gay e le adozioni da parte delle coppie omosessuali. Il referendum, indetto ancor prima che la legge entrasse in vigore, chiedeva infatti agli elettori se fossero favorevoli o meno alla normativa stessa. Il risultato è stato alquanto inequivocabile. Il 63,29% degli aventi diritto al voto si è espressa contro l’entrata in vigore della legge, il 36,71% a favore.
La Slovenia, così, è uno dei primi Paesi che approva una legge di uguaglianza dei diritti degli omosessuali per poi revocarla. Ricordiamo che già nel 2012 si era tenuto un referendum sui diritti dei gay, in cui circa il 55% degli elettori si erano opposti a dare più diritti alle coppie omosessuali, negando anche la possibilità di adottare figli del proprio partner. Da rilevare inoltre che quello di ieri è stato il primo referendum in Slovenia che si è svolto in base alla nuova normativa sulle consultazioni popolari. Stavolta, infatti, perché la consultazione fosse valida serviva l’affluenza alle urne del 20% degli aventi diritto al voto (ossia 342.810). Il quorum ieri è stato superato già alle 16 quando alle urne si era recato il 24,99% degli aventi diritto. Alle 19, ora di chiusura dei seggi, l’affluenza ha toccato quota 35,8%.
Lo stop imposto dal voto popolare all’entrata in vigore della legge favorevole a matrimoni e adozioni gay significa per Ljudmila Novak, leader di Nsi (Nuova Slovenia, centrodestra) il chiaro segnale che in Slovenia la famiglia resta uno dei capisaldi della società civile, è il segnale che gli sloveni vogliono «la tutela dei diritti dei bambini, che lo status delle coppie omosessuali venga comunque chiarito, senza dimenticare che la famiglia resta il cardine e il posto in cui crescere i figli».
Del tutto opposto il commento di Violeta Tomic, deputato della Zl (Sinistra unita) la quale si dice convinta che questa non è la fine, ma che prima o dopo questa legge entrerà in vigore. «Gli elettori hanno fatto vedere - ha dichiarato - qual è oggi la Slovenia, intollerante, dedita alla superstizione, crede a chi le fa paura, alle favole e alle bugie. Purtroppo questo è il nostro corpo elettorale, questa è la Slovenia». Che i fautori della nuova legge non abbiano proprio digerito la sconfitta appare chiarissimo. E la Tomi› riesce ancora a rincarare la dose: «I paladini che hanno combattuto contro la parità dei diritti si sono mobilitati tutti, mentre quelli favorevoli sono rimasti a casa. Noi comunque combatteremo ancora». Sulla pagina web 24.kul si prevedeva ironicamente (forse non tanto) che il prossimo passo sarà una legge che vieta l’aborto. «Loro non si fermeranno - scrive il portale internet pro diritti gay - per questo anche noi non dobbiamo fermarci. I diritti del uomo sono sempre stati conquistati con dure lotte, nessuno è stato regalato. Se permetteremo che ce li portino via allora siamo come umanità, come Europa e come Slovenia sulla brutta strada».
Lo stop alla normativa è la chiara vittoria della Chiesa cattolica slovena, così come è la chiara sconfitta del premier Miro Cerar e del suo partito, la Smc che alla vigilia del referendum aveva chiaramente detto, tramite il suo vicepresidente e presidente del Parlamento di Lubiana, Milan Brglez che approvare la norma dell’esecutivo significa rispettare la Costituzione della Slovenia. Le urne però lo hanno bocciato.
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