Nozze "arcobaleno", a Trieste la giunta Dipiazza nega la sala matrimoni

La denuncia di Davide Zotti: il s^ nella sala divorzi e in orario di lavoro
Davide Zotti
Davide Zotti

TRIESTE Stanno insieme da quasi vent’anni e, dopo l’approvazione della legge Cirinnà, hanno deciso di formalizzare l’unione, in modo che la loro coppia sia finalmente riconosciuta dallo Stato italiano. Il 13 luglio hanno pertanto fatto richiesta al Comune di Trieste, allo Stato Civile, per celebrare l’unione a fine agosto. Ma, un paio di giorni fa, è arrivata la doccia fredda: la dirigente incaricata ha comunicato che la cerimonia non si può svolgere nella sala matrimoni.

Peggio: ha aggiunto che il luogo destinato ad accogliere la celebrazione è l’ufficio all’interno del Comune in cui si formalizzano i divorzi. Ancora: ha chiarito che il lieto evento non può sicuramente aver luogo di sabato o di domenica, ma solo in orario di lavoro. Con la conseguenza che parenti e amici, se vogliono partecipare, devono prendersi un giorno di ferie.

Davide Zotti, docente di 48 anni, e Claudio Bertocchi, pensionato di 64, entrambi triestini, quando hanno ricevuto la risposta, sono rimasti di sasso. «La dottoressa Maria Giovanna Ghirardi, direttore dello Stato Civile, ci ha detto in maniera molto ferma che il Comune farà solo la registrazione dell’unione nell’ufficio preposto, comunicandoci l’impossibilità di celebrare la cerimonia nella sala matrimoni e aggiungendo che la registrazione può avvenire solo in orario d’ufficio».

«Non è un bel messaggio da dare a una coppia. Per questa ragione - racconta Zotti - abbiamo richiesto un incontro con l’assessore competente, Michele Lobianco, che dovrebbe venire fissato nei prossimi giorni».

Zotti è arrabbiato, e non lo nasconde: «Troviamo questa imposizione umiliante e discriminatoria, in pieno contrasto con il comma 20 della legge sulle unioni civili, inserito dal legislatore proprio per evitare discriminazioni e umiliazioni e garantire a tutti un uguale trattamento».

Il comma 20 della Cirinnà chiarisce infatti esplicitamente che, al fine di tutelare diritti e doveri, «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio» in tutte le altre leggi e quelle che contengono le parole «coniuge» e «coniugi» si intendono applicate anche alle persone che si uniscono civilmente.

«E infatti a Torino, a Bologna e a Milano di unioni civili celebrate ce ne sono già state e senza problemi - dice Bertocchi -. A Trieste, come in altri Comuni amministrati dalla destra, assistiamo a pantomime come quella di un sindaco che nel dichiararsi obiettore sa di andare contro una legge che non prevede l’obiezione di coscienza».

Davide e Claudio si sono conosciuti ormai vent’anni fa e aspettavano la legge da tempo. Certo, l’avrebbero voluta diversa, «una legge di piena uguaglianza», come avrebbero voluto chiamare la loro unione «matrimonio», ma si accontentano della soluzione Cirinnà «perché questa è arrivata e allora usiamo quello che c’è».

Vogliono, però, che la legge sia rispettata: «Il mio carattere è molto schivo e avrei voluto che il mio matrimonio si svolgesse nella maniera più intima possibile, evitando ogni forma di pubblicità e polemica. Ma dobbiamo uscire allo scoperto per aiutare tutte le altre coppie che come noi vogliono sposarsi a Trieste. Non lo facciamo per una stupidissima sala ma perché, nonostante ci sia una legge che ha colmato un buco enorme, in questa città si fa fatica ad applicarla» conclude Bertocchi.
 

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