Notai, lavoro ridotto del 50% Impiegati in cassintegrazione
Chi avrebbe mai pensato che anche i notai dovessero fare i conti con la crisi. Invece i più grandi studi notarili triestini si sono trovati risucchiati dal vortice innescato dalla recessione. Un calo di lavoro consistente, con una riduzione degli onorari in media del 20% per arrivare a picchi del 50% nel settore delle compravendite e nell'apertura di nuove attività commerciali. A farne le spese per primi, secondo il principio per cui meno entrate uguale meno soldi a disposizione, i dipendenti (quasi tutte donne) che si sono visti ridurre le ore di lavoro o sono stati messi in cassa integrazione in deroga per arrivare, in alcuni casi, fino al licenziamento.
Tempi bui insomma anche per i 24 notai attivi nella provincia di Trieste che, dopo il calo di lavoro iniziato già nel 2011, hanno dovuto rivedere gli organici cercando di mantenere il maggior numero di posti di lavoro. Negli studi di grandi dimensioni affiancano i notai dalle 10 alle 15 persone con una media che si attesta attorno ai quattro dipendenti, spesso molto specializzati e difficilmente ricollocabili. «La crisi la sentiamo molto anche noi», spiega la presidente del Consiglio notarile di Trieste Paola Clarich: «Abbiamo avuto un notevole calo di lavoro, attorno al 50% per quanto riguarda le compravendite. Le banche non concedono più mutui, c'è stata una forte stretta all'accesso al credito e quindi l'impossibilità da parte dei privati di acquistare una nuova casa, e da parte delle società di aprire nuove attività. Abbiamo invece assistito a numerose chiusure di società per fallimenti o cancellazione dai registri».
A questo bisogna sommare le tasse, e in particolare quelle sulla casa, che hanno scoraggiato molti a intraprendere nuovi acquisti: «Tra Imu e Tares (la nuova tassa sui rifiuti ndr) – sottolinea il presidente Clarich – c'è maggiore sfiducia da parte delle persone nell'investire nel mattone perché si tratta di imposte che colpiscono direttamente il patrimonio immobiliare». Tutto questo ha quindi indotto i grandi studi a trovare soluzioni a volte drastiche come il licenziamento o la mancata sostituzione in caso di pensionamento per far fronte al calo di clienti: «Qualcuno ha optato per una riduzione del numero di ore anche per conservare le posizioni lavorative – indica ancora Clarich – o è stata chiesta la cassa integrazione. In ogni caso si è voluto salvaguardare il maggior numero di posti perché i dipendenti sono quasi tutte donne».
Per far fronte alle esigenze dei clienti molto spesso il primo contatto di consulenza è gratuito e gli onorari, come spiega Clarich «sono rimasti gli stessi dal 2002 anche se dal 2011 sono state liberalizzate le tariffe. Alla fine i costi sono sempre gli stessi e quindi non c'è molta concorrenza tra gli studi». Quella che poteva sembrare un'oasi felice alla fine è stata coinvolta nella crisi. «La cassa integrazione in deroga – rileva Andrea Blau della Fidascap Cisl – serve per prendere tempo in attesa che si esca dalla crisi. Ma le ore a disposizione coprono in tutto otto mesi nel caso di contratto a tempo pieno, con un accordo siglato fino alla fine dell'anno. Una volta esaurite si spera di poter rinegoziare la posizione dei lavoratori».
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