«Non so vendicarmi del mio padrone Sono un cane e ho più cuore di voi»

di PATRIZIA CRISELLI
L’ho capito solo dopo che mi avevano abbandonato. Eravamo in macchina quel giorno, e quando ci siamo fermati e mi hanno fatto scendere ho pensato: «Che bello! Si corre, si salta! Wow!».
A dir la verità mi sembrava un tantino strano perché eravamo sul lungomare, in mezzo al traffico, ma la stranezza della cosa ha in un baleno ceduto il posto all’allegria... Ammetto che dopo mi sono dato del cretino e solo col tempo, ragionandoci su a mente fredda, ho concluso che altro che cretino, anzi: sono intelligente, affettuoso, socievole. Insomma, ho un sacco di belle qualità! È solo che io mi fidavo. Perché noi eravamo una famiglia. Com’è quel vostro detto...? «Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio».
Le vicende della mia vita ne sono una conferma, ma la fiducia fa parte del mio Dna, come il colore del mio manto e la forma delle mie orecchie. E infatti sono da sempre noto per la mia lealtà: perché di me ci si può fidare e, sapete com’è, «Ognun dal proprio cuor l’altrui misura».
Avete già notato che mi piacciono i proverbi, vero? Ho avuto modo di impararli (proverbi e mitologia mi intrigavano da matti!) quando vivevo in “famiglia”: lui e lei erano persone colte, di poco cuore, magari, ma la cultura non gli mancava. Neanche i soldi gli mancavano: solo che pensavano, con i soldi, di potersi permettere tutto, anche prendersi un cane per soddisfare il capriccio del momento. E così un giorno si sono presi me. Io ero proprio cucciolo allora e non mi rendevo conto della bruttezza di questa compravendita. Mi accarezzavano, mi sorridevano e io scodinzolavo felice e gli leccavo le mani. Non conosco il valore dei soldi (noi cani abbiamo valori d’altro genere), ma ho intuito che dovevano avermi pagato un bel po’.
Ho fatto una bella vita con loro: grande casa, cuccia pulita e comodi divani (potevo salirci, a patto che ci fosse sopra un telo), fresco d’estate e calduccio d’inverno) e non vi dico che pappa! Sempre gustosa e abbondante! Ovvio che vivendo così non ho mai sentito una fitta di nostalgia per la libertà, anche perché io in effetti non la conoscevo. L’ho conosciuta dopo, ma nei suoi lati peggiori: fame e sete, freddo pungente e caldo insopportabile, malattia, cattiverie e paura. Insomma, l’unica vita che conoscevo era quella che conducevo con la mia famiglia umana, finché un giorno ho intuito da un certo tipo di trambusto che stava per succedere qualcosa di importante.
Lui era scostante e nervoso, spesso assente fisicamente e con la testa; lei era strana, soggetta a improvvisi sbalzi d’umore, allegra e affettuosa e subito dopo scorbutica. E sempre stanca, non c’era riposo che la rimettesse in sesto. Col passar del tempo ho capito qual era la novità: lei era incinta e tutti e due erano piuttosto ansiosi, ora felici ora di malumore e comunque con poca voglia di occuparsi di me. Così, dopo la nascita della loro prima figlia, dopo qualche anno che mi avevano con sé (non so essere preciso col tempo, le vostre astruse misurazioni non le ho mai capite), hanno deciso che del loro adorato cane si erano stufati e che era venuto il momento di liberarsi di me. Ecco perché mi hanno scaricato sul lungomare. E anche quella volta io scodinzolavo, come quando mi avevano preso. Ve l’ho detto, non sono cretino, sono fiducioso.
C’era traffico quel pomeriggio: approfittando della coda, ulteriormente rallentata da un semaforo più a lungo rosso che verde, lui mi ha fatto scendere. Lei è rimasta seduta, senza scomporsi. Ho realizzato dopo che non mi ha neanche salutato o fatto l’ultima carezza e sapeva benissimo che mi mandavano via. Lui è sceso, ha aperto lo sportello posteriore e mi ha chiamato più volte per incitarmi a scendere. «Dài, dài, forza!». E io sono sceso. Incredulo per quell’insolita concessione, saltellavo lì intorno mentre lui risaliva svelto in macchina e ripartiva, complice anche il verde. Gli sono corso dietro, pensando di giocare, e invece no: altro che gioco, mi avevano abbandonato.
Ci ho messo pochi secondi a rendermene conto e, nel preciso momento in cui l’ho capito, sono rimasto lì paralizzato nel traffico che mi scorreva intorno. Dalle altre auto nessuno è intervenuto, nessuno ha gridato niente alla mia “famiglia”. Si vede che tra voi umani questo è normale. È così che sono diventato un randagio e che ho conosciuto la “libertà”: cioè la libertà di avere fame, freddo, dolore, paura... Sono tanto dimagrito. Il mio manto non è più pulito, folto e lucente come prima. Ho addosso degli insetti che non smettono di darmi il tormento. Decisamente non sono più quello di prima. Ma al tempo stesso, pur nell’amarezza, ho conservato il cuore.
Se mi mancavano? Sì, a volte ne avevo nostalgia, mi mancavano i bei tempi, la sicurezza, le coccole. Ma il dolore dell’abbandono, avvenuto in modo così brutale e con tanta indifferenza alla mia sorte, aveva sempre il sopravvento. Non riuscivo a perdonarli. Morsicarli, dovevo! Morsicarli ben bene, altro che aspettare che tornassero, fargli le feste, accucciarmi ai loro piedi, fare la guardia alla loro casa e alla loro figlia!
La bambina mi voleva bene: eravamo inseparabili compagni di gioco. Penso che abbia sofferto molto per questo distacco. Il giorno che si sono liberati di me lei era dai nonni, al sicuro. Che sensibilità, eh? Cosa le avranno raccontato? Vedrai che il tuo cane tornerà? È volato in cielo? È scappato? Te ne compreremo un altro? Nelle mie peregrinazioni da randagio ho conosciuto molte malevolenze, fatte così, gratuitamente, tanto per fare qualcosa. Ma ho ricevuto anche benevolenze da mani gentili, cuori generosi, angeli di passaggio. Penso che sia stato questo a farmi andare avanti.
Una sera che come al solito vagavo in cerca di avanzi da mangiare, di colpo ho avuto la percezione di qualcosa di familiare, una sagoma, un odore soprattutto... Non mi pareva vero! Era proprio il mio “padrone” - per usare questo brutto termine che a voi piace tanto -, quello che mi aveva abbandonato qualche anno prima senza tanti scrupoli. Non sembrava più lui ma, si sa, quanto a olfatto noi cani non ci batte nessuno ed io, Argo dei nostri giorni che ritrova il suo Ulisse, ho riconosciuto con assoluta certezza il suo odore.
Mi sono fermato a guardarlo: era diventato un senzatetto, faceva davvero pena, perfino a me che pure avrei avuto motivo di rallegrarmi che la stessa sorte fosse toccata anche a lui. Ma, ve l’ho detto, io ho conservato il cuore. E così mi sono avvicinato un po’ e a stento sono riuscito a tenere ferma la coda (in noi cani la coda è strettamente collegata al cuore). «Che c’è? Che vuoi? Che hai da guardare, stupido cane?». Questo mi ha detto. Evidentemente anche lui ha conservato il cuore, il suo. E non mi ha riconosciuto ma, certo, il fiuto non è il vostro forte!
Razionalmente avrei voluto andarmene e lasciarlo lì, da solo, ma la coda ha agito autonomamente e mi ha tradito! Allora gli è venuto un sospetto... un ricordo gli è riemerso da chissà quale profondità e ha capito che ero io. Mi ha accarezzato ed è scoppiato in un pianto disperato. Io guaivo e la mia coda era impazzita. Ci eravamo capiti e forse perdonati. E così siamo ridiventati una famiglia. Sì, certo, siamo solo io e lui, la sua ex moglie e la bambina fanno la loro vita e non hanno con noi alcun contatto. Siamo entrambi randagi e certo non è una bella vita, ma almeno siamo insieme. Qualche volta perfino mi accarezza (non è mai stato particolarmente espansivo). Io gli sto accucciato accanto e difendo sia lui che quelle poche cose di cui adesso è “padrone”.
Lo so che voi umani pensate che noi cani non vi capiamo quando parlate, che cogliamo solo il tono della voce... No! Tutte stupidaggini! Vi spiego io come stanno le cose: noi capiamo tutto alla perfezione! È per questo che so cosa gli è successo: lui mi parla, così, tanto per sfogarsi, pensando che tanto sono solo un cane. Ma così io ho saputo che la sua azienda è entrata in crisi, come anche il suo matrimonio, che a un certo punto ha perso lavoro, casa, famiglia e il passo successivo è stata la strada. Insomma, sarà stata la legge del karma, ma l’abbandono è toccato anche a lui.
A volte vorrei vendicarmi e abbandonarlo a mia volta, ma poi lascio perdere, non sono adatto a questi giochi. Ve l’ho detto: di me ci si può fidare. Sono un cane.
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