Non rilasciavano gli scontrini: chiusi a Trieste due kebab

Tre giorni di chiusura per due kebab di Trieste.
Il provvedimento è stato preso dalla Guardia di Finanza a seguito della mancata emissione da parte dei gestori dei locali dello scontrino fiscale.
Nel dettaglio, i militari delle Fiamme Gialle per cinque anni hanno monitorato le attività di specialità etniche. Rilevando per ciascun negozio, ben quattro irregolarità.
Da qui è partita la segnalazione all’Agenzia delle Entrate e la disposizione dei due provvedimenti per la sospensione temporanea delle attività.
Alle saracinesche dei due kebab di Trieste sono stati posti i sigilli: fino a domenica non potranno aprire al pubblico e operare all’interno del locale. Oggi a Trieste si contano oltre una cinquantina di kebab. Il primo locale di questo genere ha aperto in città nel 2003.
Nella maggior parte dei casi i kebab sono aperti tutti i giorni, con orario continuato, dal mattino a tarda sera.
In aumento anche il servizio a domicilio.
Dai 3,50 ai 4,50 euro, arrotolato o panino, con o senza cipolla e salsa piccante, il kebab è un luogo comune per tante tipologie di clientela.
E’ frequentato da impiegati che a fine giornata sono troppo stanchi per cucinare, a famiglie che vogliono cenare al volo senza l'ansia del conto. Vanno a riempire il vuoto lasciato dalla mancata presenza in cemtro dei fast-food.
Da via Cadorna a Piazza Goldoni, da campo Marzio a via Udine la pietanza turca sta conquistando tutto il territorio triestino con una florida presenza dal centro alla periferia. Un colpo al cuore per i fedelissimi dei “buffet” nostrani che vorrebbero tramandare alle future generazioni i sapori e i profumi dei nostri piatti tipici.
Tuttavia locali come “Pepi s’ciavo” sono icone senza tempo della storia gastronomica giuliana . E l'ampio range anagrafico dei seguaci del cotechino e kren, della lingua con la senape o della “porzina” sembrano confermare la tesi. I bolliti di maiale che escono dalla caldaia fumante di un buffet, serviti dall'oste che si rivolge a personale e clienti rigorosamente in dialetto, non potranno mai essere superati da nessun “take away” straniero.
Ma il kebab per alcuni rappresenta anche una scelta di campo. «Meno kebab, più porzina», si legge sul muro di un edificio del centro città.
Se per gli adolescenti mangiarne uno dopo scuola è la cosa più naturale del mondo, c’è chi, come il Codacons, lancia invece l’allarme salute. Alcuni scorgono in lui una minaccia per le tradizioni gastronomiche locali, altri non vedono altro che un panino di carne. Un business - dicono alcuni ristoratori - che è fuori controllo. Secondo alcuni il kebab è un lontano parente dei “cevapcici”, e questo potrebbe spiegare tutto.
(ha collaborato
Sebastiano Blasina)
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