«Non l’ho molestata». Ma rimane in cella
«Volevo solo fare un bagno nel mare. Quando mi hanno arrestato non ne conoscevo il perché, l’ho capito adesso che mi state interrogando. Io però non ho fatto niente...». Khan Sinzai Rozi viene da un altro mondo, di pastori nomadi del Sud dell’Afghanistan: parla una variante dialettale della lingua Pashtun, sa di avere 28 anni ]]ma non gli hanno mai raccontato quale sia la sua data di nascita.
E nel nostro, di mondo, fino a martedì pomeriggio era un signor nessuno. A Trieste da una settimana, ci vagabondava nel mito dell’asilo politico. Neanche entrato in un programma di protezione, cercava una vita migliore. E invece ha trovato la prigione e qui ci resta. Perché - secondo le ricostruzioni di quel martedì pomeriggio, scritte dal pm di turno Antonio Miggiani sulla base dei verbali dei carabinieri e ritenute valide dal giudice per le indagini preliminari che l’ha interrogato ieri e che ne ha disposto la convalida dell’arresto - ha commesso un reato imperdonabile, per cui non ci può essere comprensione né buonismo che tenga. Violenza sessuale ai danni di una tredicenne. Toccata, molestata mentre giocava in acqua a Barcola con i suoi due cuginetti gemelli di dieci anni e una loro piccola amica di nove.
Ieri l’afghano è comparso davanti al giudice Guido Patriarchi, presidente della Sezione Gip del Tribunale, per l’interrogatorio di garanzia in occasione dell’udienza di convalida. Erano le 12.45 quando, vestito di caftano color deserto, ammanettato e accompagnato da due guardie carcerarie, si è presentato al secondo piano di Foro Ulpiano, dove si è infilato nell’aula delle udienze preliminari insieme all’interprete e all’avvocato Andrea Cavazzini, nominato seduta stante difensore di fiducia.
Dall’interrogatorio a porte chiuse se n’è uscito poco prima delle 14, dopo più di un’ora. Sempre ammanettato e scortato dai poliziotti penitenziari. Lo sguardo più basso di quello con cui era arrivato. Segnali che testimoniavano come il giudice avesse confermato la misura cautelare del carcere, per pericolo di reiterazione del reato. Impossibile l’alternativa dei domiciliari per chi non ha dimora. Cosa che ha pure fatto scartare, al gip, la possibile opzione dell’obbligo di firma chiesta dall’avvocato Cavazzini.
Ma cos’ha detto, tramite interprete, il ragazzo straniero? Ha sostenuto di essere estraneo ai fatti che gli vengono contestati: «Ero lì, è vero, ma nuotavo per conto mio, non mi sono reso conto di aver toccato nessuno, se l’ho fatto è stato casuale». Rozi, mostrando stupore, ha anche respinto le ricostruzioni successive, quelle che dicono abbia malmenato e minacciato con delle pietre i cuginetti della vittima, per inseguirne quindi la madre con un altro afghano, poi rilasciato: «Dopo il bagno siamo andati ad aspettare l’autobus, e lì ci siamo ritrovati in manette».
Una “verità” che non ha convinto il giudice Patriarchi, che, appunto, l’ha rispedito in cella in attesa di giudizio. La versione della ragazzina, che ha già deposto assistita da una psicologa, viene ritenuta attendibile (condita peraltro da un particolare secondo cui Rozi prima di lei avrebbe “puntato” un’altra giovane che nuotava nei paraggi) ma, forse, non pienamente sufficiente. Non è escluso che nelle prossime ore lo stesso gip disponga l’audizione dei due cuginetti.
«Sto valutando il ricorso al Tribunale del riesame anche per poter esaminare tutti gli atti», ha riferito l’avvocato Cavazzini, sottolineando come «l’episodio pare non abbia altri riscontri se non la denuncia della parte offesa», e riservandosi di chiedere alla direzione del Coroneo una sorveglianza speciale per l’afghano. Il reato di cui è accusato, in effetti, non lascia indifferente più di qualche ospite del carcere, oltre a continuare a seminare un violento dibattito politico tra un centrodestra che chiede pugni di ferro (se non castrazioni chimiche) contestando la rotta sull’immigrazione presa dal Pd dominante (gli ultimi casi in città stanno d’altronde lasciando il segno) e un centrosinistra che respinge ogni reazione di pancia etichettandola come una speculazione sulla pelle di vittime e carnefici, di italiani e stranieri.
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