Non facciamo girare l’elica a vuoto
Trieste città più tecnologica d’Italia, o almeno al passo con gli standard europei di eccellenza, comunque sopra la media del Nord Est; Trieste capitale europea della Scienza, che dà segni importanti di vocazione tecnologica anche attraverso una consapevolezza diffusa in buona parte della popolazione; Trieste città faro, possibile, di un futuro dai confini più ampi di quelli dettati dalla geopolitica, recuperando e rimodellando il proprio senso storico. È il ritratto uscito da “Le sfide dell’innovazione”: l’appuntamento voluto da Il Piccolo e La Stampa al Magazzino 26 tra indagini, interviste e contributi di studiosi ha fatto il punto sulle potenzialità del sistema Trieste, delineando un quadro incoraggiante ma non autocelebrativo.
Anzi, che restituisce a ogni protagonista in campo una responsabilità maggiore: non sciupare in chiacchiere o autodafé questo patrimonio costruito, nonostante le contraddizioni, e non solo ricevuto in eredità. Ci sono le condizioni per un distretto dell’innovazione, che colga anche e soprattutto qui il frutto della ricerca, del suo trasferimento al sistema produttivo. Creando o agevolando la formazione di un tessuto che vada oltre le grandi e poche aziende presenti, già da tempo attente a recepire gli spunti di istituzioni scientifiche con pochi pari. Trattenere e impiegare anche qui, più di quanto è riuscito finora (bisogna ammetterlo), la conoscenza. E qui applicarla se qui si vogliono imprese sostenibili, capaci di inventare lavoro e non solo brevetti da far rendere altrove, di essere a loro modo identitarie di un territorio in rotta verso il futuro. Non per rifare il verso alla Silicon Valley o inseguire il refrain delle start up. Ma perché in fondo è a Trieste che l’austriaco Ressel inventò, esperimento dopo esperimento, l’elica navale, quasi simbolica nel definire anche la Trieste di oggi fra scienza e mare: sono passati quasi 200 anni, che peccato sarebbe farla girare a vuoto...
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