«Non ci fu danno erariale» Assoluzione bis per Illy

TRIESTE La giunta Illy non ha venduto a prezzo di svendita l’ex caserma della Guardia di Finanza di Tarvisio. Non ha dunque commesso danno erariale a carico della Regione.
È assolta dall’accusa di non aver previsto una soglia minima di ribasso, come già in primo grado nel 2010, in tutti i suoi componenti presenti nella seduta del 2004 che decise quell’operazione di cartolarizzazione: con Riccardo Illy, difeso dagli avvocati Fabio Merusi, Guido Barzazi, Giovanni Borgna e Mario Cannata, anche gli ex assessori Augusto Antonucci, Ezio Beltrame, Enrico Bertossi, Roberto Cosolini, Franco Iacop, Enzo Marsilio, Gianfranco Moretton, Gianni Pecol Cominotto e Lodovico Sonego, tutelati da Renato Fusco.
L’attesa sentenza della Corte dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale, Luciano Calamaro presidente, porta la data del 28 dicembre ma è stata diffusa ieri, in tempo per alimentare nuove fibrillazioni a centrosinistra, lì dove già da mesi si agitata lo spauracchio Illy, il presidente della giunta 2003-2008, quella che ideò e realizzò la vendita di palazzi, terreni, ex ospedali e vecchie caserme, con incarico alla società veicolo Prima srl. Un modo per fare cassa dal punto di vista della politica. A volte una svendita, secondo alcuni magistrati. Uno dei casi fu quello dell’ospedale di Palmanova. Un altro quello dell’ex Centro zonale dell'Ersa a San Vito al Tagliamento. Dopo varie aste deserte il prezzo crollò e gli immobili furono venduti a trattativa privata. Nel 2014 la Corte dei conti (con conferma nel 2016 in Cassazione), ribaltando un verdetto di assoluzione in primo grado, quantificò in 700mila euro il danno erariale della giunta per quelle due cessioni sulla base di una legge regionale del 1971, la 57, che prevedeva limiti al ribasso. Contestualmente respinse un appello incidentale di Illy per difetto di giurisdizione, mirato a riconoscere la natura politica e non tecnicamente amministrativa dei provvedimenti di alienazione.
Sull’ex caserma della Gdf di Tarvisio le cose sono invece andate, secondo la giustizia, in modo opposto. Pur se il metodo è stato lo stesso: la trattativa privata. E se l'assegnazione a 295mila euro è stata decisamente più bassa della basa d’asta: 960mila euro. Tutto regolare già secondo la sentenza 202 del 18 novembre 2010 della sezione giurisdizionale per il Fvg, che ha respinto la richiesta della Procura regionale di condanna della giunta a 194.600 euro per la mancata previsione di una soglia minima di ribasso.
La Procura non si è arresa e ha interposto appello (depositato il 2 febbraio 2011), contestando la ritenuta assenza di colpa grave da parte della giunta. La sentenza di ieri, quasi 7 anni dopo, respinge però ancora una volta le accuse e promuove le modalità dell’operazione. Perché la legge regionale 3 del 2002 che disciplinava le procedure aveva contenuti legittimi ed escludeva, in quel contesto, il raggio della 57. Due disposizioni, osservano i giudici, «che si applicano a fattispecie del tutto estranee tra loro».
La seconda sezione respinge pure l’ipotesi di violazione dell’articolo 97 della Costituzione in relazione ai principi di economicità e buona amministrazione. «L’omessa previsione di un prezzo minimo in sede deliberativa attuativa - si legge in sentenza - non implica in automatico alcun rischio di aggiudicazione a prezzi irrisori, stante l’esistenza dei correttivi contemplati dall’ordinamento ed esperibili anche successivamente alle operazioni effettuate dalla commissione giudicatrice». Infine, viene ribadito inammissibile per carenza d’interesse l’appello incidentale di Illy, visto il rigetto dell’appello principale della Procura.
«Ci togliamo un macigno che ha causato costi e sofferenze - commenta Roberto Cosolini, che di quella giunta fu assessore al Lavoro -. Solo chi l’ha provata può capire quando sia stato pesante questo tipo di attesa. Abbiamo ora avuto un risarcimento morale importante, che personalmente vivo con grande emozione»
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