«Non cedere all’Egitto se non ci sarà verità»

TRIESTE. Quattro mesi fatti di giornate pesanti come macigni da portare. E una determinazione che li sorregge fermi nella ricerca della verità. «E di giustizia». A 120 giorni da quel 25 gennaio in cui Giulio, a 28 anni da poco compiuti, scomparve nel buio di una cella del Cairo per essere ritrovato cadavere il 3 febbraio, il corpo gettato sul ciglio di una strada, offeso dalle torture, il volto sfigurato in cui la mamma ha letto «tutto il male del mondo», Claudio e Paola Regeni - le parole soppesate come sempre - portano avanti la lotta mirata a dare un nome ai responsabili della morte del proprio figlio. Nelle domande alle quali rispondono, attraverso l’avvocato Alessandra Ballerini, non pronunciano la parola «fiducia» dinanzi ai tanti fattori in campo - politici, diplomatici, giudiziari, economici - che tracciano uno scenario difficile da comporre. Ma dicono chiara la propria volontà di non arrendersi. Così, preferiscono il silenzio - ed è l’unico spazio che lasciano bianco - quando si chiede loro se ritengono che Roma abbia dato quella risposta «molto forte» che Paola Regeni aveva chiesto nel caso il vertice fra inquirenti italiani ed egiziani tenuto ad aprile fosse fallito. Ma un’altra cosa, nettissima, affermano: l’ambasciatore italiano «non torni al Cairo finché non si avrà verità».
Claudio e Paola Regeni, come sono oggi le vostre giornate senza Giulio?
È impossibile descrivere come stiamo. Possiamo dire che ci sentiamo sempre in tensione dal 27 gennaio, dal giorno in cui abbiamo appreso della scomparsa di Giulio. Ed è una tensione alla ricerca della verità. E della giustizia. Le nostre giornate sono molto pesanti e rivolte agli aggiornamenti continui.
Nei mesi precedenti la scomparsa di Giulio non avevate mai avuto sentore di pericolo, non vi siete mai preoccupati per il lavoro delicato, a contatto con sindacati e movimenti, che svolgeva al Cairo? E lui non aveva mai espresso preoccupazioni?
Lo confermiamo: con noi Giulio non aveva manifestato disagi, era contento di stare al Cairo anche se sapeva che la ricerca era particolarmente impegnativa.
In Italia e non solo si continuano a tenere manifestazioni per Giulio. Vi aspettavate una risposta così forte?
Inizialmente non ci siamo posti obiettivi precisi. È stata la gente che con la carica umana e la vicinanza ha costruito una solidarietà quotidiana e continua visibile per le strade, con la campagna Verità per Giulio di Amnesty; e iniziative molto utili a livello culturale, e cariche dal punto di vista empatico. Quando vediamo lo striscione giallo posizionato in luoghi strategici alla vista, vorremmo fermarci per salutare e ringraziare le persone amiche. Abbiamo riscontrato una notevole partecipazione da parte dei giovani che si sentono particolarmente turbati dalla triste storia di Giulio, sentendosi coinvolti come generazione e negli ideali di democrazia violati. Sta evolvendo una chiara presa di coscienza sulla potenzialità dei social network come espressione forte del sentimento comune.
Avete pensato a qualche iniziativa particolare che porti il nome di Giulio?
Siamo molto impegnati a seguire le indagini, molte iniziative in ricordo di Giulio sono già state realizzate e in programmazione, chiediamo sempre di comunicarle tramite il nostro legale per un corretto coordinamento.
Avevate auspicato di non vedere strumentalizzazioni della figura di Giulio. Ne avete riscontrate?
Sì, ci sono state strumentalizzazioni rispetto al suo profilo personale e accademico, anche se il tempo e la sua bibliografia parlano da soli.
Indagini. Dopo il fallimento del vertice di aprile a Roma pare essere ripresa la collaborazione fra inquirenti egiziani e italiani, ma in mesi di tensioni e depistaggi. Avete ancora fiducia? Credete che una verità sia ancora possibile da raggiungere? O la strada è ormai solo quella della politica e della diplomazia?
Sicuramente la strada è anche quella della diplomazia e della politica, perché la storia di Giulio è comune a centinaia di persone in Egitto. L’Ecrf (Commissione egiziana per i diritti e le libertà), il Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza e della tortura, e Amnesty International hanno pubblicato dati precisi in merito.
Potete dire qualcosa sulle indagini? Dagli ultimi atti consegnati dal Cairo sono emersi elementi significativi?
Quei documenti sono ancora in fase di traduzione.
In questi mesi avete avuto rapporti con l’Università di Cambridge?
Non abbiamo avuto ulteriori contatti.
Varie voci hanno additato l’imprudenza dei docenti inglesi che inviarono Giulio al Cairo. L’ex direttore del Sisde Mario Mori si è spinto oltre affermando che Giulio è stato mandato allo sbaraglio “probabilmente a sua insaputa e finendo in un gioco più grande di lui”. Vi siete interrogati su questi aspetti e sul ruolo dell’Inghilterra in questa vicenda?
Al governo del Regno Unito, da parte degli amici inglesi di Giulio è stata lanciata una petizione per chiedere una investigazione chiara e completa sulla sua barbara uccisione.
Come leggete l’avvicendamento dell’ambasciatore italiano al Cairo, considerato da alcuni osservatori come il modo scelto dal governo per ricucire le relazioni con l’Egitto dopo il richiamo dell’ambasciatore Massari e il conseguente stallo creatosi?
Auspichiamo che la sostituzione mantenga la linea come ci è stato promesso, e che l’ambasciatore non torni al Cairo finché non si avrà verità.
L’assassinio di Giulio ha creato una partita pesante fra due Paesi legati anche da poste economiche altissime in gioco, sebbene voi abbiate chiesto già in febbraio di sospendere gli accordi commerciali in atto. Qual è la vostra opinione?
Bisogna porre come priorità il rispetto dei diritti umani.
Avete avuto contatti con Palazzo Chigi?
Ci sono stati, non diretti attualmente. Diretti con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Quello di Regeni è comunque diventato un caso-simbolo: potrebbe essere un punto di arrivo?
Onorati che Giulio riporti l’attenzione sui diritti umani violati. Ma vogliamo la verità e giustizia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo