Non avanza il dialogo fra Serbia e Kosovo al vertice con l’Ue: resta il muro contro muro

Nessun passo avanti nell’incontro fra presidenti alla presenza dei Commissari Ue. Vučić: totale mancanza di responsabilità. Kurti: da Belgrado soltanto dinieghi

Stefano Giantin

BELGRADO Una distanza fisica di due metri, separati da un tavolo. Abissale invece il distacco politico. Non c’è stata alcuna sorpresa positiva, nessun passo avanti concreto nel dialogo tra Serbia e Kosovo, ripreso ieri a Bruxelles sotto l’egida dell’Ue un processo fondamentale per pacificare definitivamente la regione. E per dare la spinta decisiva a Belgrado e Pristina verso la futura adesione alla Ue.

Il processo è ripreso a tutti gli effetti dopo quasi un anno, con un incontro in ogni caso storico, quello tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il neo-premier kosovaro Albin Kurti; ma a parte il faccia a faccia tra i due leader balcanici, anche stavolta Bruxelles non ha incassato alcun progresso significativo. Anzi. Lo confermano in particolare le dure parole di Vučić, a caldo, dopo l’incontro con Kurti “arbitrato” dal commissario Ue all’Allargamento Oliver Varhelyi e dall’Alto rappresentante Ue alla Politica estera Josep Borrell. Kurti è venuto a Bruxelles appositamente «per non mettersi d’accordo», ha attaccato Vučić. Il premier kosovaro, assieme alla presidente Vjosa Osmani, nuovo volto della classe dirigente a Pristina, si sarebbe presentato al vertice solo «per chiedere quando riconosceremo il Kosovo», ha sostenuto Vučić. «Io ho risposto mai e allora è esploso», ha raccontato il presidente serbo, parlando di «completa mancanza di responsabilità» dalla controparte e assicurando di «non aver mai preso parte a un incontro come questo nella mia vita».

Lo scambio di fendenti nasconderebbe posizioni ancora più distanti, dal punto di vista politico e diplomatico. Vučić ha rivelato che Pristina non vuole «discutere della Comunità delle municipalità serbe», prevista da precedenti accordi di quasi un decennio fa. Secondo Vučić inoltre Pristina considererebbe come provocazioni il fatto che i serbi vogliano partecipare a funzioni religiose nelle loro chiese e nei monasteri ortodossi del Kosovo: un riferimento anche alla recente controversa messa celebrata nella chiesa serba di Pristina. L’unica cosa che interessa al Kosovo è il riconoscimento da parte di Belgrado, ha chiosato Vučić, che ha aggiunto che Belgrado si è detta pure pronta a collaborare sulla ricerca dei “desaparecidos” della guerra del 1999, trovando porte sbarrate da parte di Kurti.

Kurti ha dato una versione opposta, accusando Vučić di aver rispolverato solo «vecchie idee» e respinto quelle messe sul tavolo da Pristina. Fra di esse, ha segnalato il vicepremier kosovaro Besnik Blesimi, l’istituzione di un Consiglio nazionale per la minoranza serba in Kosovo, la rimozione del capo della commissione serba per le persone scomparse nel conflitto, la revisione dell’accordo di libero scambio Cefta e soprattutto la firma di un «accordo di pace» tra Serbia e Kosovo. Tutto respinto o non preso in esame da Vučić, ha rintuzzato la delegazione kosovara; per Kurti un accordo con Belgrado dovrebbe essere raggiunto «entro i mandati di Biden e Borrell», ossia nei prossimi tre anni, non a breve come spera l'Ue.

Che le cose - per l’ennesima volta - non siano andate bene lo ha fatto trapelare anche Bruxelles. «Entrambi i leader hanno avuto uno scambio aperto e franco e hanno espresso cosa vogliono dal dialogo», ha detto il rappresentante speciale Ue al dialogo Miroslav Lajcak, ammettendo che «non è stato un incontro facile, ma l’importante è che ci sia stato». Il prossimo salvo sorprese sarà in agenda a fine luglio. «Il dialogo non sarà agevole», così Borrell: ma è l’unica via per «il bene dei popoli di Kosovo e Serbia». —


 

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