No di Crepaldi ai preti rock. E don Davide lascia la band VIDEO

TRIESTE “Veci col capel”, per ragioni anagrafiche, deve aver passato l’esame della Curia. È sul “El timbro”, con quel passaggio “e punto la biondona…” che si sono fatte sentire le resistenze. Chiedere a don Davide Chersicla, uno cresciuto a ostie e dialetto, che - suo malgrado - è costretto a lasciare la band dei “Sardoni barcolani vivi”. Potrà collaborare, certo, magari scrivere canzoni, ma addio palco. Non potrà più esibirsi, per esplicita richiesta dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi che ritiene le sue performance non proprio consone al ministero sacerdotale.
Don Davide, per il momento diacono, presto diventerà prete e in Cavana e dintorni non vedono di buon occhio questo suo hobby. Che invece piace, e tanto, ai triestini. Soprattutto a chi frequenta le sagre parrocchiali, che il gruppo anima da qualche anno a questa parte. Gruppo che gode di un certo seguito, come risaputo. Sono in sei, tra i trenta e quarant’anni: oltre a Davide, una delle voci, Riccardo Valente, Andrea Travan, Francesco Krecic, Gianluca Turco e Damiano Skrbec. Ognuno con il suo strumento, chi la chitarra, chi il basso e la batteria.
Tutto è nato qualche anno fa, era il 2008, nella parrocchia di Barcola. Il gruppetto aveva sempre suonato alla messa di mezzogiorno e, nel tempo libero, condivideva la passione per le canzoni triestine. Così, come si fa tra amici: si trovavano e provavano a buttar già qualche verso pescando dal vasto panorama che solo la triestinità sa offrire. La band nasce ufficialmente con la canzone “No volevo la vinjeta”: è proprio il periodo in cui Davide è in comunità vocazionale e la ballata vince il Festival della canzone triestina. Il video è cliccatissimo. Nel 2009 esce il primo album “Trieste mille novità”, seguono “Mi me la mocco”, “Malamente” e “Remitur”. Diecimila le copie vendute, a oggi. E presto, a dicembre, pubblicheranno il quinto. I brani, sempre intelligentemente ironici, mai irriverenti o volgari, sono sulle labbra di tutti. La band ha una missione: divertire e riportare in auge parole del dialetto ormai desuete. Chersicla nel frattempo si è laureato in Scienze ambientali e si è diplomato al conservatorio. È nel 2007, a un passo dalla tesi, che decide di diventare sacerdote, senza mai smettere di far musica.
Il diktat di Crepaldi non se l’aspettava proprio. Ma non se la prende, tutt’altro, perché ha ben chiare la priorità della sua vita. «Quando cantiamo non faccio evangelizzazione - sorride Davide - quindi forse il vescovo avrebbe piacere che mi dedicassi totalmente al percorso che mi porterà al sacerdozio».

Non può più cantare ora, da diacono, e non lo potrà fare nemmeno dopo, da prete. Non sul palco, non davanti a un pubblico. «Penso però che tra i consacrati ognuno possa avere una propria passione - osserva - che in questo caso per me è la musica. Talvolta, finite le serate in sagra, la gente si stupisce. Questo perché spesso c’è l’idea stereotipata che il prete è un tipo serio, austero e compito - scherza -. Ma io sono convinto che questa mia presenza può essere anche un modo per fare capire che il consacrato non è affatto fuori dal mondo. Il prete non è uno che sta chiuso in sacrestia…».
Il gruppo, intanto, sta superando i confini della città, grazie a tutti quei triestini che hanno iniziato a spedire ai parenti all’estero gli album dei “Sardoni barcolani vivi”. Una ragazza tedesca, laureata in Germanistica, ha pure citato le canzoni nella tesi come esempio di “triestinità”. Nelle sagre parrocchiali spesso suonano per beneficenza, per sostenere la comunità e le missioni. L’altra sera, a Valmaura, hanno deciso di devolvere l’incasso al parroco per aiutarlo nell’accoglienza dei profughi che saranno ospitati in canonica. «Mi spiace che non potrò più continuare a dare il mio contributo sul palco - confessa don Davide -. La mia è una testimonianza di normalità». Ma in Curia preferirebbero l’evangelizzazione: pescatori di uomini. Non di sardoni, possibilmente.
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