No del Tar al terminal Teseco all’ex Aquila

Secondo i giudici l’azienda non ha esperienza nella gestione portuale e non è stata data sufficiente pubblicità al bando
MUGGIA. Il Tar del Friuli Venezia Giulia affonda il terminal traghetti Teseco all’ex Aquila, che prevedeva un investimento di 90 milioni. I giudici amministrativi hanno dichiarato nulla la concessione di 60 anni alla società pisana, formalizzata dall’Authority il 23 settembre 2014 dopo che il Comitato portuale l’aveva approvata il 26 luglio 2013, tutto sotto la presidenza di Marina Monassi. Zeno D’Agostino aveva già “congelato” il progetto da commissario del porto nel novembre 2015, allorché in una manifestazione pubblica aveva affermato: «Non posso permettere che si costruisca un terminal per poi farlo restare vuoto. Se non vi è la presenza di un operatore logistico, un progetto non può essere avviato». Ed è questo uno dei motivi che ha indotto il Tar a imporre lo stop, accogliendo il ricorso avanzato dalla società Seastock che, immediatamente a monte delle banchine, intendeva realizzare un deposito di Gpl, obiettivo poi decaduto.


«È noto - rilevano i giudici - che Teseco è società specializzata nelle attività di recupero e trattamento dei rifiuti speciali e nelle attività di bonifica dei siti inquinati, ed è priva di specifica esperienza nella gestione di terminali portuali, di trasporti marittimi e di ogni altra operazione o servizio portuale». Si specifica anche che effettivamente «la società ha, sin dall’origine, manifestato l’intenzione di affidare a terzi, senza peraltro indicarne il nominativo, l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali in questione». Di conseguenza, si legge nella sentenza, «è evidente che non pare che alcun soggetto possa essere stato effettivamente sottoposto e avere positivamente superato la verifica in ordine alla rispondenza ai requisiti di legge». Tutto ciò a prescindere dalla grave situazione di crisi in cui si trova la stessa Teseco, che ha messo in cassa integrazione straordinaria per un anno 174 lavoratori fra amministrativi e operai specializzati.


«Stiamo ora valutando come procedere assieme al nostro ufficio legale - specifica oggi D’Agostino, presidente dell’Adsp dell’Adriatico orientale - poiché quello era un project-financing. Il piano regolatore non vincola l’area a un terminal traghetti, ma ad attività logistico-portuali in senso ampio, siamo però in contatto anche con il commissario liquidatore di Teseco». La situazione di stallo pare comunque al termine e il pallino del gioco torna in mano all’Authority, con la conseguenza che l’area potrà ora venire effettivamente messa sul mercato degli operatori dello shipping, magari cinesi ma non solo.


Motivo fondamentale dello stop alla concessione è però un altro, perché in realtà il Tar ha inchiodato il terminal Teseco sul punto in cui l’Unione europea, al contrario, aveva dato il via libera archiviando la procedura di preinfrazione, ovvero la mancanza di sufficiente pubblicità data al bando per la concessione. Archiviazione che aveva riguardato anche i casi delle concessioni per 60 anni a Trieste marine terminal per il Molo settimo e per 50 anni alla Siot per il terminal petrolifero, che però ora non rischiano essendo comunque scaduti i termini per ipotetici ricorsi.


«Il Collegio è dell’avviso - silegge ancora - che, avuto riguardo alla durata della concessione (60 anni), all’estensione dell’area richiesta, alle opere previste, all’attività in progetto e alla possibilità di sfruttamento economico pressoché in regime di monopolio che deriva a favore del concessionario, che colà è autorizzato a realizzare ed esercire un terminal ro-ro e multipurpose, la forma di pubblicità in concreto osservata dall’Autorità Portuale (ovvero la mera pubblicazione all’albo pretorio on line del Comune di Muggia dell’istanza di concessione demaniale avanzata da Teseco nell’anno 2011, senza, peraltro, peritarsi di fornire pubblicità a tutte le successive integrazioni progettuali apportate alla medesima) non possa ritenersi idonea ad assolvere, nel caso specifico, né all’incombente posto dall’art. 18, comma 1, l. 84/1994, né, tanto meno, costituire adempimento sufficiente al fine di assicurare il rispetto di basilari principi nazionali e comunitari di trasparenza, pubblicità, imparzialità e proporzionalità».


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