No al ponte di Sabbioncello Sarajevo ricorrerà all’Onu

La Bosnia conferma la sua contrarietà alla realizzazione dell’infrastruttura che collegherà l’area di Ragusa al Paese. Bruxelles ha già stanziato i fondi
(ANADOLU AJANSI-SAMIR YORDAMOVIC) (20120531)
(ANADOLU AJANSI-SAMIR YORDAMOVIC) (20120531)
LUBIANA. A ventidue anni dagli accordi di Dayton che sancirono la fine della guerra nella ex Jugoslavia (il Kosovo sarà una triste parentesi a latere) la questione confini tra quelle che furono le “creature” dell’ingegneria politico-istituzionale di Tito, resta ancora pericolosamente aperta. Ne sanno qualcosa Slovenia e Croazia che, nonostante un arbitrato internazionale, non riescono ancora a trovare la quadra nel golfo di Pirano. Ne sanno qualcosa la Croazia (rieccola!) e la Bosnia-Erzegovina che relativamente alla costruzione di un ponte autostradale croato sopra il golfo di Neum che passa su due scogli (di nome e di fatto), dove sventola la bandiera bosniaca, stanno alimentando una polemica che diventa “combustibile” per gli schieramenti ultranazionalisti di entrambi i Paesi.


La vicenda legata alla costruzione del ponte di Sabbioncello è maledettamente radicata nello sviluppo degli ultranazionalismi in Croazia e in Bosnia-Erzegovina. Per Zagabria è un’opera vitale per collegare la zona di Dubrovnik al resto del Paese; per Sarajevo è un vulnus all’indipendenza della Bosnia-Erzegovina che mina l’accesso del Paese alle acque internazionali. Vecchi motivi, ritornelli già sentiti, comunque maledettamente pericolosi nei Balcani.


E se la propaganda croata è riuscita a mobilitare lungo lo “stretto maledetto” una catena di barche a simulare il ponte con clamoroso show di bandiere con la scacchiera, Sarajevo punta sul versante diplomatico e minaccia di proclamare la piena sovranità sul proprio accesso al mare Adriatico. Alle spalle c’è un accordo bilaterale tra Croazia e Bosnia-Erzegovina relativo ai confini datato 1999 e sottoscritto dal leader croato Franjo Tudjman e quello bosniaco Alija Izetbegović. Entrambi sono defunti e il loro accordo non è stato ratificato dal Sabor (Parlamento) di Zagabria, proprio come è successo con l’accordo sui confini Drnovšek-Račan tra Slovenia e Croazia.


Similitudini a parte, comunque indicative di un pericoloso status quo ancora valido nei Balcani, il problema sta nel fatto che l’Unione europea sul ponte di Sabbioncello si è espressa molto chiaramente approvando un cospicuo finanziamento per la sua realizzazione, fatto questo che per Zagabria è sinonimo di un inequivocabile via libera alla sua costruzione. Ma Sarajevo non ci sta e si dice pronto a far valere di fronte alle Nazioni Unite l’accordo Tudjman-Izetbegović che è composto, relativamente ai confini, da 86 mappe geodetiche dettagliatissime e sulle quali Sarajevo intende puntare per dimostrare il proprio diritto di libero accesso alle acque internazionali.


Ma c’è di più. Il membro bosgnacco della presidenza della Bosnia-Erzegovina, Bakir Izetbegović (figlio del padre della patria Alija) continua a sostenere che la Croazia non può costruire il suo ponte sopra Sabbioncello fino a quando non sarà trovato un accordo tra Sarajevo e Zagabria sui confini e sull’accesso alle acque internazionali.


E che la Bosnia stia facendo sul serio, lo ribadiscono le parole di Izetbegović figlio il quale riconferma che quanto sopra evidenziato non è la posizione di un singolo partito in Bosnia, di un singolo leader o di un singolo popolo, bensì è quanto stabilito dalla Bosnia-Erzegovina nel pieno della sua sovranità politica ed istituzionale già nel 2007. Indietro non si torna.


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