Nikolic spiato, scandalo a Belgrado
BELGRADO. “Watergate serbo”, così i media locali hanno immediatamente battezzato il Nico, con scarsa fantasia. Un Watergate dai contorni confusi, senza un presidente che fa spiare i suoi avversari, senza un Bob Woodward o un Carl Bernstein. Ma con alcune somiglianze. Intercettazioni telefoniche e coinvolgimento di presunti apparati infedeli dello Stato in un potenziale scandalo che da due giorni sta provocando una tempesta, a Belgrado. Una tempesta prodotta da una notizia bomba. «Siamo caduti in un nido di serpenti», ha detto la prima vittima, il presidente serbo Tomislav Nikoli„, alle telecamere della tv pubblica Rts. Un nido che protegge uomini «che usano le loro alte funzioni per dominare la vita delle persone», ha aggiunto. Uomini che «hanno osato intercettare prima me e poi Aleksandar Vucic», vicepremier e ministro della Difesa, ha svelato Nikolic. Ma chi poteva avere interesse ad ascoltare le conversazioni private del leader serbo? Una spiegazione è stata data dal secondo intercettato. «Tre giorni fa abbiamo scoperto che» un non meglio specificato «gruppo ha messo sotto controllo» su mandato della polizia i «più alti funzionari dello Stato, inclusi il presidente Nikoli„ e me», ha illustrato Vucic al quotidiano Vecernje Novosti. «Un’ampia indagine sarà avviata e presto capiremo di cosa si tratta», ha promesso, lasciando campo libero alle speculazioni sui mandanti delle intercettazioni. Gruppi criminali, lobby economiche, avversari politici, una faida interna alla maggioranza? La risposta spetterà agli investigatori. Nel frattempo, il premier Dacic ha voluto precisare che l’affare «non ha nulla a che vedere con me come ministro degli Interni», ma riguarda la polizia, dove «non esiste una chiara supervisione delle operazioni». Dacic che ha poi precisato che la polizia avrebbe solo analizzato la lista delle chiamate passate per un certo numero di telefono, «non sapendo che si trattava di quello di Vucic». In ogni caso «queste cose non devono succedere», ha concluso il premier. Per capire la gravità reale o presunta del “Watergate” di Belgrado, meglio rivolgersi agli esperti. «Quanto ha fatto la polizia, almeno secondo il resoconto dei media, è di aver valutato la lista delle comunicazioni, cioè con chi il presidente e il ministro della Difesa hanno parlato, non di che cosa», illustra al Piccolo Sonja Stojanovic Gajic, direttrice del think tank “Belgrade Centre for Security Policy”. Una modalità «legale secondo il codice di procedura penale», aggiunge. Codice che prevede che «la polizia abbia il diritto di fare ciò senza l’approvazione di un giudice». In termini di sicurezza nazionale, sottolinea, il pericolo maggiore di questo e altri simili episodi è invece la «debole vigilanza» sulle azioni della polizia e sulle intercettazioni. Per quanto riguarda chi ha ascoltato chi, al momento «non è chiaro, ma non mi sorprenderei se l’intera storia avesse numerosi risvolti politici». «Il nuovo governo», continua Stojanovic, «ha voluto dare di sé l’immagine di pioniere nella lotta anti- corruzione e finora sono stati presi di mira membri dell’ex governo» ed è sotto questa luce «che hanno presentato quest’ultimo incidente», provocato forse «da elementi fedeli all’ex esecutivo all’interno della polizia criminale, che hanno agito da soli». Lo scenario peggiore è però che il caso venga usato solo «per attirare l’attenzione dei media e che non ci sia un serio seguito istituzionale». Leggi, accurate «indagini interne ed esterne, un miglioramento dei meccanismi di sorveglianza e della catena di comando nel ministero degli Interni e udienze del comitato parlamentare su sicurezza e difesa». «Abbiamo bisogno di risposte su quanto realmente accaduto – conclude Stojanovic -, e su come prevenire abusi in futuro, permettendo ancora alla polizia di investigare su sospetti in casi di corruzione di alto profilo».
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